Calcarelle
- Calcaroni - forni Gill
Sin dai tempi
più antichi, per separare lo zolfo dalla ganga, si ricorreva alla
fusione.
Il
primo mezzo usato fu la calcarella di cui restano pochissimi
resti nel territorio di Comitini.
La Calcarella
Consisteva in un fosso costruito a piano inclinato in modo da
permettere la colata dello zolfo fuso verso un'apertura detta
"morti dell'olio". Il riempimento, a forma conica sopra il
fosso, poteva contenere quattro o cinque metri cubi di minerale non
coperto di terriccio, cosicché la fusione era rapida e in meno di
ventiquattro ore si completava la raccolta dello zolfo, anche se circa
i due terzi si volatilizzavano sotto forma di anidride solforosa.
Per
ovviare al gran dispendio di minerale si pensò di ricorrere al
rivestimento esterno della massa in fusione: nacque così "il
calcarone".
I Calcheroni
Erano disposti a piano inclinato con mura robuste e più alte
nella parte anteriore dove si apriva l'apertura per l'uscita del
minerale. L'operazione di riempimento era condotta con grande perizia:
il minerale, trasportato dai carusi con gli stiratura, era preso in
carico dagli inchitura che deponevano i pezzi più grossi per formare i
curritura cioè le vie che dovevano attraversare la massa fusa, mentre
il resto si ammassava avendo cura di lasciare gli sfiatatoi o pupalori
che alimentavano e favorivano l'accensione.
Dopo
che il calcarone era colmo si ricopriva con rosticci di zolfo, lasciando
libera qualche parte per l’accensione.
Qualche
giorno dopo cominciava la culata dell’ogliu, che poteva durare anche
un mese; l’olio, scorrendo attraverso un canaletto fisso, era raccolto
in forme di legno, i graviti.
Terminata
la fusione, gli scarcaratura, dopo il raffreddamento, abbattendo il
diaframma costituito dal muro dalla parte anteriore del calcarone,
cominciavano dal basso lo svuotamento deponendo i rosticci o ginisi ad
una certa distanza.
I Forni Gill
Una
variazione moderna dei calcheroni furono i forni Gill, che presero il
nome dal loro inventore; questi forni si costruivano a gruppi di due o
di tre, in comunicazione tra loro, mentre la cupola che li ricopriva
aveva un foro rotondo sulla superficie attraverso il quale si gettava il
materiale, con gli stiratura o la carriola, per riempirli.
Si aveva cura
di disporre i massi più grossi nella parte centrale e i frantumi
aderenti alla parete: chiuse le valvole e otturato il muro della morte
destinato a fare uscire il minerale fuso, si appiccava il fuoco
dall’alto, chiudendo subito 1'otturatore che serrava l’apertura
della cupola.
Data
la poca dispersione di vapori, nonché la piccola quantità di
materiale, la fusione era molto rapida e si danneggiavano molto meno le
colture circostanti.
Terminata
la fusione nel primo forno, si apriva la valvola di comunicazione col
secondo, che nel frattempo era stato caricato, e si faceva passare il
fuoco senza alcuna sosta.
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