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Cuntastorie e Cantastorie |
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di Angelo Clemente | |
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SOMMARIO PAGINA E INDICE
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Tradizionale figura di intrattenitore ambulante, che si sposta di città in città e di piazza in piazza raccontando una favola, una storia, un fatto, con l’aiuto del canto e spesso di un cartellone in cui sono raffigurate le scene salienti del racconto; i cantastorie in questo loro peregrinare vivevano delle offerte degli spettatori e talvolta dai proventi della vendita di foglietti recanti la storia raccontata. Si posizionavano nelle piazze dei paesi o nelle stalle umide e cantavano o raccontavano le loro storie, antiche o attuali, vere o immaginarie, trovate in giro nei loro viaggi o composte per l’occorrenza. Spesso i cantastorie adattavano le loro versioni ad alcuni racconti antichi, o li rinnovavano a seconda del particolare avvenimento; sovente una scelta veniva imposta per il dialetto da utilizzare in base al luogo della narrazione e a causa del diffuso analfabetismo. Incursioni di pirati, miracoli di santi e vite esemplari di devoti, eventi catastrofici, clamorose impiccagioni, leggende sacre e racconti profani. meravigliose vittorie e lacrimevole sconfitte personaggi e momenti epici (Garibaldi ed il Risorgimento sono stati oggetto di interesse di tanti cantastorie e poeti popolari); ogni occasione era buona per i cantastorie per comporre, adattare vecchi canti o tradurre vecchie storie. una delle più conosciute è quella della Barunissa di Carini, si pensa ci siano più di 500 versioni. I cantastorie rappresentarono l’unico tramite culturale tra il popolo analfabeta e il mondo epico e poetico in cui rivivevano le spagnolesche gesta, le bravate dei paladini del repertorio cavalleresco di Francia e le generose, anche se cruenti imprese dei vari briganti, così cari alla fantasia popolare. Nell XVII secolo i cantastorie riuscirono ad vere un pubblico vastissimo e avidissimo; erano infatti numerosi, i sentimenti che muovevano gli spettatori ad assistere per ore ed ore alle recite. |
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Questo tipo di comunicazione affonda le proprie radici nella più lontana tradizione Europea di letteratura orale, e costituì per secoli il maggiore veicolo di diffusione della letteratura dotta tramite la poesia. L'origine della Poesia è alquanto antica. Essa nasce con lo scopo di ricordare alle genti: fatti, vicende, avvenimenti importanti, la storia di un popolo, etc., dal punto di vista dei valori, riportando il tutto a memoria visto che in quel periodo non esisteva la scrittura, cosa che avvenne più tardi. Si pensa risalga ai popoli che abitavano il baltico e precisamente la Finlandia, (XVIII secolo a.C.) prima che questi si spostassero e si trasferissero nel mediterraneo, in Grecia, dando origine alla civiltà Egea. Essi portarono con se miti, canzoni e racconti epici, che narravano di onore, gloria, amore, rispetto per i morti, rispetto per il padre e la madre, etc., alternando mito e leggenda; questi erano, gli Aedi o Cantori. L'antenato
più illustre fu certamente Omero [Questione
Omerica] che viene descritto come il cantore cieco che si accompagnava con la
lyra per raccontare le sue storie, ed
Esiodo, anche se sarebbe del tutto improprio definirli dei cantori per come li
intendiamo noi, ma furono coloro che iniziarono questo tipo di trattazione orale prima
dell'avvento della scrittura. Dopo che la stampa ebbe il sopravvento i Cantastorie abbandonarono questo tipo di repertorio lasciandolo in eredità ai Cuntastorie ed all’Opera dei Pupi, per acquisire sempre più un ruolo che si avvicina a suo modo, al mondo giornalistico, diffondendo fatti e notizie, e stampando su Foglietti Volanti le storie che rappresentavano che, come sopra citato, vendevano al pubblico che li ascoltava. Uno dei cantastorie più autorevoli nella storia della letteratura italiana fu Giulio Cesare Croce, autore della versione italiana delle storie di “Bertoldo e Bertoldino”. |
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Ai cantastorie nel
loro millenario cammino, dal medioevo ad oggi si sono avvicendate diverse figure di cantori,
Giullari
e Menestrelli,
che giravano che giravano di villaggio
in villaggio, di castello in castello, narrando gesta ed accadimenti, Figure simili le
troviamo anche in altre culture nelle quali è ancora forte la componente orale
della letteratura. Le novelle delle Mille e una Notte nei paesi arabi, portate in giro dai cantastorie da bazar in
bazar, le storie di Ramayana
e del Mahabharata
in India, narrate cantate e danzate da artisti talvolta
"specializzati" in un solo mito o in un solo episodio (in alcuni
casi, i cantastorie indiani cantavano le storie di Rama mentre le disegnavano, considerando tale attività una forma
di devozione). |
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Palermo è stata la
culla di un’ altra figura tradizionale oggi completamente scomparsa il Cantastorie
Orbu, nata intorno alla metà del 1500, anno in cui la Chiesa e
precisamente i Gesuiti si interessarono a loro notando che la loro comunicativa
molto vicina alla gente poteva servire come mezzo per diffondere storie sacre e
liturgie e avvicinare così il popolo a Dio. |
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Da questo momento in
poi, i Cantastorie Orbi e i Cuntastorie forti della protezione della Chiesa
iniziarono a proliferare portando tra il popolo nuvene, trionfi e cunti,
operando in nome di una verità religiosa nella quale i Santi e le Sacre
scritture erano raccontati. |
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ha permesso a Orbi e Cuntastorie di esplorare nuovi spazi poetici, musicali e comunicativi, come quelli che invece i cantastorie mostrano di sperimentare quotidianamente ancora oggi. I cuntastorie non utilizzavano alcuno strumento musicale ma modulavano la voce con una tecnica tutta particolare, che veniva tramandata di generazione in generazione, un racconto orale con regole precise di tempo, ritmo ed esposizione. Questi “menestrelli cuntisti” giravano le città in lungo e in largo spostandosi come potevano e usando qualsiasi mezzo di locomozione; non importava se erano analfabeti o ignoranti, la loro capacità era quella di apprendere e comunicare al popolo. Ci fa sapere Consolo
(apprezzato scrittore siciliano), che il cunto si è salvato per il suo ruolo
sociale di memoria, per l’antica funzione epica della parola, è la capacità
di rendere con la voce e teatralizzare una della componenti della parola,
contraddistinguendosi da tutto il resto. |
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Nel racconto epico,
più che in qualsiasi altro testo, questa attitudine riesce ad esprimersi al
meglio.
Qualche volta il
cuntastorie era una sorta di puparo mancato, a cui solo le limitate possibilità
finanziarie impedivano di allestire il teatro dei pupi. Si trattava quasi sempre
di povera gente, che viveva alla giornata, e che non poteva permettersi
assolutamente di acquistare tutti gli attrezzi del mestiere per diventare puparo,
così si affidava all’arte della parola, imparava tutte le regole della
narrazione e negli anni diventava cuntista.
Mentre i primi due
trattavano lo stesso repertorio epico e cavalleresco, il Cantastorie si basava su
fatti di cronaca e di attualità, adoperando la maestria dei cuntastorie e una mimica
particolare usata soprattutto nelle parti tragiche, gridando, lamentandosi e
delle volte anche piangendo. La sua prosa e un canto in versi accompagnato dal
suono di uno strumento musicale per lo più una chitarra o una fisarmonica. Esso in qualche modo
aveva la funzione di far conoscere storie e fatti come uno speaker
televisivo ma con una valenza teatrale e spettacolare, anche se (come accennato
precedentemente), le storie talvolta venivano travisate e manipolate per
adattarle allo scopo. |
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La forza dei
cantastorie si basava soprattutto nel fascino del dramma nella narrazione di una
storia, ed è solo in questo modo (afferma Bungaretta, studioso di tradizioni
popolari) che il cantastorie potrebbe sopravvivere ai giorni nostri, raccontare
un episodio, un fatto che sia carico di simbologia, perché prende valenza
diversa da altri eventi, e diventa suscettibile di drammatizzazione e quindi di
interesse per il pubblico. |
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E’ questo il caso
ad esempio dell’uccisione di Falcone e Borsellino, due personaggi simbolici,
carichi di eroicizzazione da parte del pubblico, due paladini che combattevano
quel mostro che è la mafia; Ecco, in questo caso è possibile per il
cantastorie raccontare ancora ed affascinare il pubblico, nonostante ne siano
ormai note le immagini fin nei minimi particolari. |
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Cantastorie Siciliani
Esiste
una particolarità siciliana nel quadro nazionale, si tratta di una
specifica tradizione etno-musicale per la presenza di alcuni grossi caposcuola,
che si sono posti come modelli di riferimento, creando delle forme
emulative, in un certo senso quello del cantastorie siciliano è un
istituto culturale, una maniera di cantare più meridionale che
appartiene alla tradizione melodica, che spesse volte prende anche a prestito
altre forme culturali, creando dei ricambi che sono fondamentali nella
tradizione orale. |
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I cantastorie siciliani tramandano la vecchia cultura Siciliana
che vede nel bandito l’eroe popolare, nel delitto d’onore un gesto eroico,
nel traditore ed infame l’essere reietto da odiare, una vecchia cultura
popolare fortunatamente scomparsa con il cambiamento e la crescita culturale
della società, ma che in egual modo ha portato via quell’aspetto "poetico-passionale"
proprio della
Sicilianità. In un
secondo tempo con l’avvento della discografia, i foglietti vennero sostituiti
da dischi e musicassette (alla fine degli anni 60) e spesso e volentieri i
cantastorie non cantavano più con la loro voce in diretta ma si esibivano in
playback adoperando la mimica e la gestazione nella rappresentazione che forse
è stata la causa del disinnamoramento e della delusione della gente, poiché
veniva a mancare, la forza, la “verve” la comunicazione, la componente
teatrale. I primi dischi che si incisero furono i 78 giri, poi si passò ai 45, seguirono le musicassette e oggi i C.D., che alcuni cantastorie come il Barcellonese Fortunato Sidoti ha inciso di recente.
I più famosi Cantastorie Siciliani I cantastorie più famosi Siciliani in
ordine cronologico furono: Gaetano Grasso di Paternò (CT),
Paolo Garofalo, di
S.Cataldo (CL) e Orazio Strano di Riposto (CT) pionieri e caposcuola dei
cantastorie.
Seguirono: Enrico
Belladonna di Catania,
Luciano Palmeri di Paternò
(CT) e dopo circa 4 anni si affermarono: Ciccio Busacca, di Paternò (CT), Paparo Francesco detto Rinzinu, di Paternò (CT), e Vito
Santangelo di Paternò (CT) che iniziò la sua attività facendo da spalla
a Garofalo, come ci fa sapere lui stesso in una sua raccolta autobiografica di
prossima uscita “La mia vita di cantastorie”, che sarà edita dalla nostra
Associazione. Ancor ora sulla breccia e sempre disponibile Vito Santangelo è ormai diventato un mito, collabora con noi da più di tre anni; (l’8 Luglio 1999 dopo essere stati contattati dalla Televisione Nazionale Giapponese N.H.K. che stava girando un documentario sulle tradizioni popolari nel mondo, e che avevano notato la nostra Associazione su Internet, abbiamo realizzato a Paternò un filmato che vedeva il cantastorie Vito Santangelo esibirsi nella piazza del paese). In un secondo tempo o di II° generazione sono: Franco Trincale di Militello Val di Catania che ancora si esibisce a Milano; Peppino Castro di Dattilo (TP), che a Torino dove lavorava ha fondato una associazione per la conservazione delle tradizioni popolari siciliane per gli emigrati in Piemonte, oggi ritornato nel suo paese si esibisce ancora con il suo repertorio classico; Saru Cavagna di Niscemi (CL) che gira ancora i paesi siciliani in occasione di Fiere o feste Patronali, con i suoi cartelloni e con l’aiuto del fratello. Nonò Salamone di Sutera (CL), uno dei cantastorie e cantori più rappresentativi, che ha divulgato e fatto conoscere a Torino dove lavora, come in tutto il resto d'Italia ed all'estero, la figura del cantastorie, i canti, le tradizioni, i drammi, le passioni e le bellezze della nostra terra. Ha collaborato con i più grandi, come Cicciu Busacca, Rosa Balistreri (con la quale ha fatto diverse tournèe) e Ignazio Buttitta per il quale ha scritto le musiche di diverse sue composizioni, in particolare due, a lui molto care “U lamentu pi la morti di Salvatore Carnevale”e “Lu Trenu di lu Suli ” cantate poi da tutti i cantastorie. Fortunato Sindoni di
Barcellona (ME), inizia la sua “carriera”
di cantastorie negli anni 70 quando emigrante in Germania scopre i testi,
le musiche e la vita di Woody Guthrie, folk singer Americano, che con la
musica e le sue ballate, cantate per lo più nelle fabbriche e nelle campagne,
fece emergere la condizione politico sociale degli operai di quell’epoca,
creando una vera e propria presa di coscienza di classe e rivendicando i diritti
dei lavoratori. Antonio Tarantino di Palermo operante nel campo della musica popolare siciliana, finalizzata alla ricerca ed alla riproposta di canti trascritti tra la fine del '700 e i primi del '900, curando una “Raccolta di Canti Popolari Siciliani”; esibendosi proprio come facevano i cantastorie di un tempo.
La prima Casa Discografica a registrare e
stampare i primi dischi dei cantastorie siciliani, fu la Universal
di Napoli di proprietà di Esposito nel 1962/63, “U surdatu e la fantasma”
di Paolo Garofalo e “la madre assassina” di Vito Santangelo. |
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Rosa Balistreri
e Rosita Caliò
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Questo primo concorso fù vinto da Ciccio Busacca, con ” la storia di Salvatore Giulianu”, mentre l’anno successivo l'ambito premio fù vinto da Vito Santangelo con "la Matri assassina" (scritta da lui stesso), che si riconfermò vincitore anche nel 1964 con la “la Disfida di Roma” dove recitò insieme a Ignazio Buttitta (In questa occasione fu realizzato un documentario da Ugo Gregoretti che fu divulgato attraverso la televisione dell’epoca), altre due edizioni furono vinte da Franco Trincale e da Ciccio Busacca.
Alcuni
Cartelloni storici dei Cantastorie Siciliani I Pittori dei Cartelloni
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