L’opra dei Pupi è la forma più visitata del Teatro di Figura Risulta estremamente difficile individuare con certezza in quale periodo nascono le marionette armate con repertorio cavalleresco ed il luogo da cui inizia questa tradizione. Si ha notizia che pupi con armature
rudimentali esistevano già nell’800 in alcune città italiane, come
Roma, Napoli, Genova etc, ma è in Sicilia dove questi si evolvono per
divenire il pupo che oggi conosciamo. La diffusione in un’area prettamente meridionale
induce alcuni a sostenere la tesi di
un’ origine spagnola del teatro dei pupi, essendo
il mezzogiorno fortemente influenzato non solo politicamente, ma anche
culturalmente dalla Spagna. Purtroppo non si sa però né per quale via, né
quando, queste marionette siano arrivate in Italia. Solo agli inizi del 19°secolo
quando l’interesse per il popolaresco e per le sue forme di vita
spinse i dotti e la nuova classe borghese ad interessarsi di
quello che si credeva fosse il vivaio più genuino
delle patrie memorie, solo allora l’opra
non fu più soltanto un semplice passatempo, ma una cosa molto
più seria, quando cioè (scrive Ettore Li
Gotti) "l’anima dei pupi divenne l’espressione
dei sentimenti e delle aspirazioni di giustizia di una classe sociale". Durante
le rappresentazioni, gli opranti riuscirono ad infondere
nell’animo dei pupi quell’espressione di sentimenti,
giustizia e libertà di cui il popolo, e non solo il basso ceto ma ancor
più la borghesia e il ceto dotto, si fece portatore nella Sicilia del
primo ‘800. Il
popolo, dunque, trovò i suoi eroi nell’Opera dei Pupi e nei
racconti cavallereschi, questo spiega l’attenzione e la costanza con
cui il pubblico seguiva, sera dopo sera, storie ed avventure che si
protraevano anche per diversi mesi. E’ da ritenersi infondata l’ipotesi che il teatro dei pupi siciliani sia nato dall’importazione di alcune marionette napoletane in Sicilia per opera di Giovanni Grasso, perché già prima del 1860, anno in cui il Grasso ritornò nella nostra isola, l’esistenza dell’opra è documentata sia a Palermo che a Catania. Tuttavia è da tenere presente che esiste
una reciproca influenza tra l’esperienza
napoletana e quella siciliana, ma ciò non
significa che esista un solo
nucleo originario Storicamente il cuntastorie era un narratore che non
utilizzava alcuno strumento musicale (usato molto tempo dopo dai cantastorie),
ma usava modulare la voce con una tecnica tutta
particolare, con regole precise di tempo, ritmo ed
esposizione orale che si tramandava di generazione in generazione. Il teatro dei pupi siciliani, nella
seconda metà dell’ottocento, volendo mantenere la valenza
epica, si è specializzato in questa direzione, ereditando tutto
il patrimonio dei cuntastorie. Nella prima metà dell’ 800 i marionettisti
girovaghi, rafforzano
il carattere professionale del loro lavoro.
Si organizzano a livello impresariale perfezionando le tecniche espressive
allo scopo di richiamare un pubblico sempre più vasto.
Da allora, la disponibilità degli artigiani a realizzare un pupo più
elaborato e il confluire nell’opra la tradizione
epico-cavalleresca,
grazie all'apporto di Giusto Lodico che realizzò un' opera in quattro
volumi della storia dei paladini di Francia, (che ancora oggi
rappresenta la base trainante dell'opra dei pupi), costituiscono i due poli di un rilancio in maniera più articolata
del fenomeno.
Carlo
Magno, il potentissimo Imperatore di Francia
viene presentato in due versioni, la prima, da corte, con
una tunica ricamata, una ricca corona e un mantello
di velluto; la seconda, da battaglia che comprende l’elmo incoronato e
lo scudo esagonale con l’insegna del giglio
di Francia,
severo il volto, e scura la barba. Altre due figure che non potrebbero mancare e che ruotano costantemente attorno al protagonista, fungendo da corollario, sono Angelica, la donna saracena per cui lo stesso Orlando impazzisce d'amore perdendo il senno che soltanto sulla luna riuscirà a ritrovare. Rinaldo, cugino di Orlando, secondo cavaliere della corte di Carlo, dal
carattere benevolmente ribelle, che lo ha reso particolarmente amato dal
pubblico. I personaggi femminili si richiamano invece ad una
visione bambolesca della donna, dal viso rotondo ed ingenuo, dagli
occhi vividi a da lunghi capelli ricadenti sulle spalle; le guerriere (Bradamanti) invece, sono caratterizzate da
armature ed armi con le insegne del proprio
casato.
Al di là degli elementi stilistici unitari esistono due scuole di pensiero, quella Palermitana e quella Catanese, che sono molto diversificate nella costruzione del pupo, alle quali pupari di altre località siciliane: Acireale, Agrigento, Messina, Trapani, etc. si rifanno, aggiungendo delle particolarità personalizzate; dobbiamo però dire per onor di cronaca, che lo stile palermitano e quello più diffuso. La prima distinzione
riguarda la stessa dimensione
del pupo, che a Palermo presenta un’altezza simile a quelle
delle marionette classiche, tra gli 80 cm e il metro dal peso di 13,14
kg., mentre a Catania si trovano pupi alti un metro e trenta cm e in
alcuni casi possono pesare quasi 30 kg. Una seconda variabile, ancora più importante e
decisiva per la dinamica teatrale, riguarda il movimento
e le
articolazioni. Il
pupo catanese invece, ha gli arti inferiori bloccati e scoperti, gli scudi dei guerrieri sono quasi
tutti Anche la manovrabilità del pupo ha le sue varianti; a Palermo
la leggerezza ed il minor peso del pupo rendono possibile un
maneggio laterale, eseguito con il puparo in piedi che lo sorregge con le
braccia tese, l’articolazione delle ginocchia ne permette
un passo sciolto e una grazia quasi di
danza. A Catania la mole del pupo costringe il manovratore ad una posizione
alzata o supina su un
palchetto appositamente costruito sopra il teatro vero e proprio, per cui il pupo si
muove quasi sempre accostato al fondale di scena
e fatto scorrere, durante le battaglie, per tutta la lunghezza del teatro.
Per pubblicizzare una rappresentazione, i maestri pupari si servivano di cartelloni appositamente dipinti. A Palermo si adoperavano dei cartelloni di carta di
imballaggio dipinti a tempera (tra il 1920 e il
1950) larghi 2 m. e
lunghi 3 o 4 m., suddivisi a scacchi (come quello usato dai
cantastorie), nei quali erano illustrati i momenti salienti degli
episodi, che dovevano essere rappresentati nel corso della settimana; i
riquadri variavano da un minimo di sei,
per gli avvisi ordinari, ad un massimo
di dodici per gli avvenimenti più importanti del ciclo, come
per la rappresentazione della Rotta di Roncisvalle. A Catania invece i cartelloni (realizzati nello
stesso modo di quelli palermitani) proponevano un solo grande riquadro con il quale si
reclamizzava la scena madre e centrale dello spettacolo di ogni giorno.
Spesso erano gli stessi pupari come Giuseppe Argento
di Palermo che preparavano i cartelloni o nella fattispecie facevano
ricorso ai pittori di carri. Da notare che questi cartelloni erano tramandati
da padre in figlio per cui ogni puparo ne aveva sempre pronte moltissime
per le varie necessità di scena. Dubbia è però l’individuazione delle fonti
iconografiche dalle quali discendono i disegni e i tratti figurativi di
questi cartelloni. Nel 1858 viene pubblicata
la Storia dei Paladini di Francia di Giusto Lodico corredate da disegni di Mattaliano, che a loro
volta rimandano alle xilografie e riproduzioni cinque-seicentesche avvenuta
nei primi anni del secolo. Alcuni studiosi, tendono a
risalire ad uno stile composito di elementi bizantini, arabi, francesi,
spagnoli etc., ma la storia dei pupi in effetti coincide con le vicende delle
famiglie dei marionettisti.
Gli opranti, in una prima fase, per rappresentare gli episodi dei paladini, attinsero a piene mani dalla Chanson de Roland, dai Poemi Cavallereschi e da I Reali di Francia di A. Barberino, riconducendo i diversi episodi ad un'unica storia che partendo da Milone conte d’Anglante si concludeva con la morte di Rinaldo. Bisogna però attendere
il 1858, quando l’intuito di un maestro elementare, tale Giusto Lodico, diede vita ad una poderosa opera in 4 volumi, intrecciando
i vari poemi epico-cavallereschi del ‘400 e del ‘500, pubblicata in diverse edizioni,
anche a dispense dal titolo Storia
dei Paladini di Francia, che
rappresenta tuttora il fondamento dell’opera dei pupi. Sostanzialmente la storia dei paladini di Francia narra le innumerevoli battaglie tra cristiani e mori nella Spagna dell’VIII secolo d.C. ed in particolare racconta della dolorosa sconfitta di Roncisvalle, in cui persero la vita, vittime di un’imboscata, le più valorose “spade” cristiane e fra tutte il prode Orlando ed il saggio Oliviero. Il repertorio, in qualche caso, si discostava dalle programmazioni classiche per raccontare l’attualità,
utilizzando spesso storie di vario genere tra le quali quella del brigantaggio. All’epoca uno dei primi fu Don Liberto
Canino (come ci racconta Giuseppe
Pitrè) che portò
sulla scena temi come: “vita e morte di Giordano Bruno”
ricavata da un racconto di Dumas, “vita e
morte di
Antonio Di Blasi Testa Longa” che suscitò a
quel tempo grande entusiasmo ed infine i “Beati
Paoli” tratti dal Linares. Una nota storica ci mette a conoscenza che nelle
rappresentazioni dell’opera
dei pupi e dei cuntastorie siciliani
si riunivano i rivoluzionare, che comunicavano con il popolo attraverso il
"Paccaglio", un linguaggio molto particolare che la
polizia non conosceva e non comprendeva. Spessissimo si facevano anche
delle allusioni, dei riferimenti a problemi e fatti politici, irridendo i
potenti di turno.
Non stupisce
che molto spesso il teatro dei pupi e il cunto fossero considerati
pericolosi in quanto istigatori di
atteggiamenti
mafiosi e
rivoluzionari. Il termine Paladino, dall’aggettivo latino palatinus (del palazzo), descrive ciascuno dei 12 Pari al servizio nell’esercito di Carlo Magno, essi ricoprivano le cariche più alte dell’ordine militare e costituivano una sorta di guardia d’onore dell’Imperatore. I Paladini o Pari erano scelti personalmente da Carlo Magno e obbedivano solo al re, ciascuno dei Pari era un nobile, conte o duca, e doveva possedere particolari virtù: fede, lealtà, forza e sprezzo del pericolo. Vi sono pareri discordanti circa i nomi dei 12 Pari, per alcuni testi essi erano: Orlando - Olivieri - Berengario - Ottone - Gerino - Ivo - Avorio - Genieri - Ansegi - Sansone - Gerardo - Engelieri. Secondo la Chanson
de Roland erano invece: Orlando
- Oliviero - Turpino - Oggieri il danese - Riccardo il vecchio - il nipote Enrico - Accellino di Guascogna -
Tebaldo di Reims - il cugino Milone - Geriero - Gerino - Gano. Nell’opera dei pupi
troviamo alcuni dei personaggi elencati in precedenza e altri presi in
prestito dai poemi epico-cavallereschi, mischiando così ancora di più
mito e realtà. A confondere ancora una volta le acque ha contribuito la
Scuola Catanese,
che deve a suoi opranti le invenzioni di personaggi come: Uzeda
- Erminio della Stella d’Oro - Gemma della Fiamma - Guido di Santa
Croce e tanti altri. Al fenomeno palermitano da le origini Don Gaetano
Greco (1813-1874) che sarà seguito nella
professione dai due figli, Achille e Nicolò;
quasi nellostesso periodo iniziò Don Liberto Canino
che fu il capostipite di una famiglia di pupari che operò a lungo,
segnalato come riformatore dal Pitrè per
aver realizzato per primo la corazza e l’elmo in metallo ai paladini,
e perchè adoperò un telone (ad opera del Di Cristina) che
rappresentava un episodio della storia di
Sicilia “L’ingresso a
Palermo di Ruggero il Normanno”
invece
che
il classico
telone con la storia dei paladini di Francia. Nel catanese il primo puparo fu Gaetano Crimi 1835, seguito dalla famiglia di Giovanni Grasso, da quella di Don Raffaele Trombetta e Sebastiano Zappalà, alla casata degli Insanguine che nasce a Bari ma poi si trapianta in Sicilia; come esponente di tale dinastia occorre citare Nino Insanguine soprattutto per la sua abilità nel dare ai suoi Pupi una sorta di umanità ed una teatralità degna dei grandi attori. Accanto ai nomi di questi grandi maestri Pupari occorre citarne degli altri altrettanto validi. Il catanese Giuseppe Chiesa, un impresario-puparo che iniziò la sua attività con il giovanissimo Angelo Musco animando i Pupi al Teatro Machiavelli, egli creò anche dei propri teatri e va ricordato come un genio di grande fantasia ed abilità, suo rivale è senz'altro Pasqualino Amico da ricordare per la sua estrema abilità nel costruire e manovrare i Pupi e nel dar loro una voce inconfondibile ed indimenticabile. Altri da ricordare: i messinesi Rosario Gargano e Peppino Grasso. Di lunga tradizione, risalente all’inizio del secolo e ancora operanti in Sicilia sono: la famiglia dei Cuticchio (che si adoprano anche nell’arte del cuntastorie) e Vincenzo Argento di Palermo, la famiglia dei fratelli Napoli di Catania, i pupari Nino Canino di Partinico e Agostino Profeta di Licata (AG) che ha ripreso in mano i suoi pupi per ricominciare a narrare le storie di cavalieri ed eroi come faceva il padre all’inizio del secolo. E’ importante ricordare che, in un primo momento, quasi tutti i pupari si avvalsero della collaborazione dello scrittore di dispense (dalle quali il puparo trarrà i suoi copioni), del fabbro-ferraio (per la realizzazione delle armature dei pupi) e del pittore (per la realizzazione dei cartelloni e per la decorazione del teatro); cose queste, che successivamente il maestro puparo realizzerà da sé collaborato in toto dai componenti della propria famiglia; (è da sottolineare che essere un bravo Puparo non significa solo essere un bravo artigiano, ma essere anche un bravo attore visto che egli ha il compito di animare i Pupi e di dar loro la voce). Uno dei più indiscussi maestri artigiani che si è distinto in quest’arte fu il palermitano Don Carmelo Di Girolamo scomparso nel 1983 che realizzò la più bella serie di pupi che si conosca e lo scultore Messinese Paolo Marini, la cui caratteristica era la mobilità degli occhi e della bocca dei suoi paladini. L’opera dei pupi meraviglia ancora noi tutti, la magnificenza delle armature, la vivacità delle vesti e dei pennacchi, i movimenti aggraziati e la varietà degli intrecci delle fantastiche storie cavalleresche e non, il gusto della spettacolarità, le forti emozioni, il romanticismo popolaresco che queste marionette di legno riescono ancora a dare. Da sempre infatti l'Opera dei pupi ha voluto essere una sorta di metafora della vita: la battaglia dei cavalieri della Chanson de geste è stata definita "la più invisibile delle guerre invisibili", perché quella da loro combattuta rappresenta prima di tutto la lotta interiore che ogni uomo deve affrontare per difendere i propri ideali senza lasciarsi sopraffare dalle mille tentazioni che la realtà gli propone e da quelle altrettanto pericolose che albergano in ciascuno di noi. Ciò contribuisce a spiegare il grande successo avuto dal Teatro di figura siciliano, che ha saputo mettere in scena le più comuni passioni umane in modo semplice, accessibile a tutti, ma non per questo banale, capace di far riflettere e divertire nello stesso tempo, in un'atmosfera magica popolata da draghi, mostri, angeli e diavoli. Torna all'indice ================================= ============================
Anche in virtù di questo l'Unesco ha recentemente dichiarato il Teatro dei pupi "Capolavoro del patrimonio Orale e Immateriale dell'Umanità", attribuendo così per la prima volta un simile riconoscimento non a statue, a monumenti o a siti storici, ma ad una tipica espressione della cultura popolare. In tal modo i pupi sono stati inseriti nel patrimonio mondiale considerato degno di salvaguardia per far sì che non scompaia uno dei più originali prodotti della tradizione siciliana, ma anche dell'artigianato isolano, che con passione e dedizione ha saputo trasformare questi pupazzi in vere e proprie opere d'arte. Bibliografia
Giuseppe
Pitrè
Salamone
Marino Lionardo
Vigo Alberto Favara Tommaso Aiello Mauro Geraci |
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