Promosse
inoltre la creazione della Società dei Concerti Sinfonici, affinché
Palermo avesse una stagione concertistica stabile. La raccolta sistematica
dei canti siciliani fu avviata subito dopo il ritorno da Milano,
esplorando soprattutto i paesi e le campagne della provincia di Trapani e
di Palermo. In grandi fogli di musica venivano trascritte le melodie, i
ritmi, le parole dei canti, le eventuali varianti, insieme al nome, l'età,
il mestiere del cantore, con l'aggiunta di valutazioni di natura tecnica o
estetica.
Quel
che più colpisce in questa biografia del Favara è il parallelismo di due
interessi apparentemente lontani: la musica etnica e l'educazione
musicale; ambedue coinvolti in un graduale passaggio dal sentimento al
risentimento, dovuto appunto all'intersezione con un tessuto, un contesto
culturale, da aggredire dialetticamente e non sempre con una immediata e
positiva resa dei conti.
La
fatica di raccogliere la musica etnica siciliana, l'ostinazione filologica
di trascriverla e studiarla, le traversie per farla conoscere, l'iter per
approdare al Corpus, sono simmetrici all'opposizione etica,
illuministica, antiburocratica, per non discriminare i Conservatori di
musica, dell'allora nascente stato italiano, in istituti di prima e
seconda categoria. Una resa dei conti non sempre chiusa. Ancor oggi,
infatti, dopo il Corpus, la cui collocazione sistematica è opera
del Tiby, non si può dire che vi siano stati, ad eccezione di qualche
studio, ulteriori ed approfonditi controlli musicologici del patrimonio
etnico siciliano.
In
tal senso, e sempre in questa intersezione con la storia, un sottile
camminamento nella vita del Favara sembra essere stato il miraggio di
configurarsi nel ruolo di un musicista «nazionale», di una nazione
italiana che però non era tale. Ecco perché il confronto con Bartók e
Kodaly è inevitabilmente ambiguo. Quanto poi alle sue vicende di
compositore (nel cui ambito Urania, in un coetaneo panorama
veristico-nazionale, sembra stagliarsi con coscienza critica ma come una
utopia ragionevolmente mancata) ed ai comportamenti di quella società
umbertina (ed in parte anche della nostra), essi rientrano in quella «normalità»
tendente a riscattare l'artista con gratifiche post-mortem.
Tuttavia,
a mano a mano che l'orizzonte si allarga, il profilo di Favara va
configurandosi di più nei suoi contorni. L'affondare nella musica etnica
non è stato forse liberatorio ed alternativo sino alle estreme
conseguenze, ma l'odierno esame critico delle sue trascrizioni, delle sue
osservazioni, delle sue schede, rende validissimo il suo lavoro di
musicista-etnografo. Quanto alle sue idee sull'educazione musicale, esse
rientrerebbero nella moderna visione e funzione del «college», che tenda
a non ridurre definitivamente i conservatori di musica in discutibili e
subalterne scuole di avviamento professionale.
A
questo studioso non può quindi non andare il nostro debito di riconoscenza
per aver contrastato ostinatamente una presunta cultura di prima classe in
difesa di una cosiddetta cultura di seconda: dilemma che è poi alla base
di tanti odierni e sterili pregiudizi. Già ai tempi del Favara questi
problemi affioravano in modi acuti e drammatici: anche in tal senso la sua
vita può dirsi ricca di significato".
La sue Opere
I risultati di
queste ricerche sono stati raccolti in vari saggi:
- Le melodie di Val Mazara (1903), Canti e leggende della Conca
d'Oro (1903),
- Il ritmo nella vita e nell'arte popolare in Sicilia (1904),
- Canti della terra e del mare di Sicilia (1907), ecc.
L'edizione
critica di tutti gli scritti del Favara, Corpus di musiche popolari
siciliane (2 voll.),
- Il frutto di tutta un'intera esistenza dedicata alla musica popolare per
il quale il Favara girò l'intera Sicilia raccogliendo 1090 pezzi tra
canti lirici, storie, ninne nanne, repiti, canti di mare, canti religiosi,
giuochi, canzoni a ballo, musiche strumentali, abbanniatini, tammuriniati
e altri mezzi sonori -
è stata curata e pubblicata dal genero, il
musicologo Ottavio Tiby, nel 1957.