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Luigi Di Pino

   
Affabulatore Riportese





Sulla scia di Orazio Strano
di Monica Laurentini

            www.luigidipino.it


Compositore e cantautore, oltre ad essere un cantastorie, le melodie di Di Pino, raffinate e originali, arricchiscono i sensi di chi le ascolta.
La sua mimica giullaresca lo rende gradito al pubblico, che ne percepisce immediatamente la freschezza e la spontaneità.

“..Mi chiamo Luigi e fazzu u cantastorie”, così Di Pino si presenta in modo definito, netto, declamando questo antico mestiere oggi quasi del tutto scomparso, e recitando poesia e canzoni in un dialetto cantilenante, vetusto, in cui traspare l’amore per la propria terra, la Sicilia, dalla quale, come dice non si separerebbe mai (…).

Il nostro cantastorie ripostese con la sua voce graffiante e provocatoria, intende ridare alla cittadina di Riposto la gloria di un tempo, valorizzando la figura ormai quasi dimenticata di Orazio Strano.
La sua ironia e il suo atteggiamento da giocoliere dei tempi passati, rendono le sue performance accattivanti e seducenti.

Le cantilene, le filastrocche e le nenie del cantastorie riportese ci riportano nostalgicamente indietro nel tempo, facendo riaffiorare sentimenti attraverso i quali si ripercorre la memoria storica della Sicilia che non c’è più, quella dei nostri nonni, quella di una tradizione isolana, e forse azzardatamente un po' isolata, ma pur viva nei cuori di chi la ama; con un linguaggio limpido e toccante Luigi è già “personaggio”, uomo nuovo perché di nuova generazione ma antico nel cuore, convinto assertore che la felicità sta nelle piccole cose, nella vita di tutti i giorni.

Attraverso la cronaca di una quotidianità on the road, egli cerca di esorcizzare le stranezze e le idiosincrasie di un mondo ormai in rovina, addolcendo con le sue note e i suoi messaggi d’amore verso la sua terra, le tensioni della vita : in Di Pino cantastorie del nuovo millennio la fiamma della passione per la musica popolare non si è mai spenta, la vita è bella così com’è, senza orpelli, senza fronzoli e senza velleità.

In tutto ciò è racchiuso questo strano personaggio:  Luigi Di Pino.



In occasione di un convegno sui cantastorie siciliani tenutosi presso il teatro di Giarre nella primavera del 2003, e patrocinato dall’Associazione culturale Amici del presepe della stessa cittadina, ho avuto modo di conoscere Luigi Di Pino, cantastorie di ultima generazione.

Ragazzo dal viso gioioso e semplice, ma dallo sguardo arguto e sorridente, Luigi ha mostrato un’enorme disponibilità nel farsi intervistare presso la sede ripostese, da lui inaugurata nel 2001 insieme ad altri artisti, di cui è presidente. Si tratta di un laboratorio culturale ed artistico che crea intelligenze musicali di raffinato intelletto, aperto a tutti coloro che sentono un forte  legame  con  la  terra  di  Sicilia  e  che  intendono perpetuare  e  valorizzare il messaggio che la musica, la poesia e la cultura siciliana sanno dare.


"L’intervista, mira a penetrare a fondo nel pensiero di Luigi Di Pino cercando di coglierne le sfumature più recondite".

                                                                                        Monica Laurentini



Come nasce il fenomeno Luigi Di Pino, il Cantastorie?
Nasce a Riposto circa cinque anni fa dopo un incontro con Vito Strano, uno dei figli di Orazio Strano. Da qui, la mia passione è cresciuta sempre più e ho imparato a fare il cantastorie. Ero appena tornato da un tour in Australia, dove ero andato per promuovere la culture siciliana nel mondo. 

In un mondo imbevuto di potere e denaro, in cui l’incomunicabilità fa da  padrona, qual’è stato il motivo che ti ha spinto ad intraprendere questa carriera un po’ azzardata?
Era la carriera che volevo fare e la sto facendo; la mia non è stata una scelta azzardata. Ognuno nella vita deve o dovrebbe fare quello che desidera, io ho scelto il mestiere di cantastorie. Con questo lavoro si guadagna bene anche se  i giovani di oggi ambiscano ad altro. Vivo bene così…

Cosa hai ereditato dai vari cantastorie di Riposto?
Seguo le orme di Orazio Strano, ma da poco attingo anche dai cantastorie di Paternò, come Busacca. Dal punto di vista tematico non c’è molta differenza tra le due scuole: dal  punto di vista poetico Orazio Strano era più popolare mentre Turiddu Bella era più raffinato e più diretto. Ciccio Busacca invece si compenetrava di più in ciò che raccontava, allentando la storia a poco a poco e creando pathos, facendo in modo che il pubblico partecipasse ; penso di averlo seguito sicuramente nelle “pause”. 

Sei stato definito un “cantastorie del 2000”, questo dipende: dalla tua giovane età, dall'attualità delle tue canzoni o perché il mestiere di cantastorie è ancora vivo nell’era del terzo millennio?
Penso per tutte per le innovazioni che ho portato a questo tipo di forma artistica, poi perché ho introdotto nuovi strumenti musicali come il mandolino e il contrabbasso, in una figura che nasce essenzialmente con la chitarra. Ho una voce abbastanza forte, non canto di gola come i miei predecessori e, infine ho aggiunto un po’ di teatralità rispetto al cantastorie del passato.

Hai musicato la ballata di Luciano Violante sui bambini morti a causa della mafia: cosa pensi di un argomento così importante?
Ognuno nel suo piccolo deve fare la sua parte: la rivoluzione si fa attraverso la cultura e la scuola è fondamentale nella vita e nella crescita delle nuove generazioni.
A parer mio non si conclude nulla se non si pensa in tempo ad educare la gente fin dai primi anni di vita e al rispetto per gli altri e per le cose degli altri.  

La differenza tra cunti, pupi e canti: in tre parole sono racchiuse tematiche diverse.
Le differenze sono tante, sono tre cose diverse. Dal punto di vista sensoriale posso dire che nel cunto, se racconti qualcosa e metti immagini e azione il cervello crea un movimento interiore e visivo, mentre nel canto si utilizza maggiormente il senso uditivo e la parte visiva sta in secondo piano. Il pupo sintetizza un po’ dell’uno e un po’ dell’altro, quindi assocerei il pupo al cunto e terrei da parte il canto, pur avendo entrambe un comune denominatore.

Com’è cambiato rispetto al passato, l’approccio musicale e culturale della gente e com’è cambiata la sicilianità dei siciliani?
Oggi si è aperti alla cultura, alla musica e a tutto ciò che c’è di nuovo; la scuola sta facendo tanto per diffondere la cultura e la musica in maniera omogenea e continua, promuovendo sempre nuovi progetti che vedono coinvolte realtà musicali moderne.

In Sicilia, abbiamo sviluppato il senso di appartenenza e ci sentiamo figli di “qualcosa”, abbiamo un vasto patrimonio culturale alle spalle, per cui sicuramente abbiamo modificato l’approccio musicale che ora è più forte rispetto a vent’anni fa. In questo momento con internet, la globalizzazione, sentiamo maggiormente il bisogno di ancorarci alle tradizioni, ai valori, e mantenere vive quelle che sono le peculiarità delle varie zone.

La Sicilia si è europeizzata, i mass media hanno contribuito a diffondere una cultura siciliana moderna rispetto al passato, per cui il senso di appartenenza si rafforza sempre di più.  In Australia invece, dove sono stato in tour, la comunità siciliana è antica, è quella di una volta perché essendo lontana dalla terra d’origine vive dei retaggi del passato, per cui tutto ciò che c’è di siciliano intorno ad essa, funge da trait d’union con la Sicilia.

Tra mass-media e globalizzazione, qual è secondo te l'importanza della piazza nella performance di un cantastorie e la differenza con il palcoscenico?
Negli anni post-fascismo la burocrazia ha avuto il sopravvento su tutto, imponendo ferree leggi sulla conduzione e sull’organizzazione degli spettacoli (…domande ai comuni interessati, autorizzazioni etc…), per cui diventa sempre più difficile esibirsi all’aperto: oggi quindi la piazza ha un sapore nuovo.
In passato nessuno interveniva se ci si esibiva nelle piazze, mentre oggi è più facile che le autorità creino problemi se non sei in regola.

Tornare in piazza crea sempre nuove emozioni, si è un tutt’uno col pubblico pronto ad intervenire e interloquire, e soprattutto allo stesso livello; per cui bisogna affinare le proprie capacità perché si ha una maggiore responsabilità per poter accogliere altro pubblico.
In palcoscenico è diverso: porti degli attori di strada all’interno di un teatro e li metti alla prova, cosa assolutamente impensabile un tempo poiché l’accesso ai teatri era negato agli artisti di strada (tranne in qualche sparuto caso). Inoltre il livello più alto dell’uditorio sottintende uno spettacolo a regola d’arte.
Oggi il cantastorie di piazza viene considerato una novità, merce rara in via di estinzione…

Ignazio Buttitta è considerato il poeta-cantastorie per eccellenza, e fu uno dei più grandi poeti popolari siciliani: che interazione c’è, secondo te, tra poeti e cantastorie?
Io faccio una netta distinzione tra poeti e cantastorie, perchè la poesia è poesia, mentre nella figura del cantastorie essa  non è esclusa. 
Ignazio Buttitta recitava parole che suscitavano una certa emozione: se diamo in poesia il significato di “emozione” possiamo affermare che il cantastorie riesce a rendere la poesia “musicale".
In Buttitta c’è cantastorie e poeta insieme, ma in generale cantastorie e poeta interagiscono poco: come ho già detto nel cantastorie ci può essere poesia, ma non necessariamente in poesia troviamo il cantastorie.

Il tuo narrare è solo una racconto di fatti osservati o il tuo messaggio va oltre?
Sono un narratore, ma non denuncio nulla, narro i fatti di tutti i giorni, ciò che accade nella quotidianità e parlo di personaggi comuni: la mia è una telecronaca di fatti accaduti. Il messaggio dei cantastorie comunque va oltre ciò che viene detto. Nella struttura della storia è sempre implicita una morale finale, l’insegnamento che il cantastorie dà alla gente..

Il cartellone nella tradizione del cantastorie: quanta importanza ebbe nel passato l’iconografia e quanto incide nel presente?
Dal momento in cui oggi la gente non pensa più, ha meno immaginazione che nel passato, è abituata ad avere tutto e subito, il cartellone a parer mio dovrebbe essere ancora più importante che nel passato. C’è bisogno di qualcosa che fissa le immagini senza la necessità di mettere in moto la fantasia. Io preferisco le storie raccontate senza cartello, affinché la mente possa andare “oltre”.
Con l’immagine dipinta su un cartellone, la fantasia finisce d’esistere, per cui da si assocerà sempre l’immagine dipinta alla storia raccontata.
Tuttavia con ciò non intendo sminuire l’importanza ed il fascino che ha la storia raccontata per immagini.

L’importanza di uno strumento musicale nella performance del cantastorie…
La chitarra è stata sempre un segno di riconoscimento per i cantastorie, quindi il loro rapporto è imprescindibile: il cantastorie non può essere separato dalla chitarra.
Rispetto al passato si sono solo modernizzati ed affinati gli strumenti e le tecniche strumentali, perché in fondo i nuovi cantori si sono evoluti, ma io non vedo dei cambiamenti radicali nello strumentario usato.

Se qualche scrittore parla di “indifferenza del cantastorie per lo strumento musicale”, è perché ciò che conta è la voce e non la potenza della musica sulla voce.
Provenendo dal mondo della musica e avendo un passato musicale molto lungo, sono certo che la voce ha un’importanza e una musicalità maggiore dello strumento.

Attraverso quali mezzi bisogna dare continuità al lavoro e al mondo dei cantastorie
A mio parere continuando a mantenere i contatti con le famiglie di Orazio Strano, di Busacca, insomma dei veri cantastorie di una volta; io poi  cerco raccogliere materiale di ogni tipo, mi esibisco nelle piazze, nei teatri e dovunque posso.
Ho inoltre in cantiere la progettazione di un museo che raccolga tutto ciò che fa parte della cultura popolare dei cantastorie. Le premesse ci sono, si tratta solo di concretizzare…

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