Nino Martoglio
       Belpasso (CT) 3/12/1870 - Catania 15/09/1921

   



Nasce a Belpasso (CT) nel 1870. Esordisce nel giornalismo a soli 19 anni fondando a Catania il settimanale satirico D’Artagnan sul quale pubblicò i suoi primi versi, scritti in un dialetto popolaresco e allo stesso tempo finemente letterario.  

L'iniziativa ebbe notevole successo, anche perché Martoglio presentò le sue prove poetiche genuinamente dialettali e intrise di una comicità immediata. Questi versi gli meritarono l'elogio di Carducci e la popolarità nella città etnea. 
Nel 1901 decise di volgersi al teatro, nel tentativo di riportare alla platee di tutta Italia il teatro dialettale siciliano, che l'attore Giuseppe Rizzotto aveva divulgato anni prima. Avendo scoperto alcuni attori isolani dotati di una dirompente satira e comicità, debuttò nell'aprile del 1903 con la compagnia da questi formata e da lui diretta al Teatro Manzoni di Milano.  

Grazie alla vena schiettamente realistica, alle soluzioni linguistiche riproducenti il dialetto vivo e parlato e alle eccezionali capacità degli interpreti (Giovanni Grasso, Marinella Bragaglia, Angelo Musco), le opere di Martoglio raggiunsero ben presto una straordinaria notorietà.

I suoi primi testi, “I Civitoti in pretura” e “Nica”, costituirono l'inizio di un'intensa attività che si esplicò nella composizione di una ventina di commedie, alcune delle quali in lingua. Cominciò così a fiorire quel teatro dialettale siciliano di cui Grasso, incupendo le tinte, sarebbe stato l'espressione tragica e Musco, con l'estemporaneità delle sue battute, l'espressione comica e beffarda sino al delirio buffonesco.

Come autore, Martoglio pose in scena una Sicilia colorita e credibile, e, seppur non vigoroso creatore di caratteri, si mostrò però abile inventore di vicende movimentate e di dialoghi scoppiettanti. Il suo nome è legato principalmente a due opere composte per Musco: San Giuvanni decullatu (1908), caricatura di una religiosità popolare ingenua, e L'aria del continente (1910), rappresentazione satirica dello snobismo di un borghesuccio isolano che affetta disprezzo per le usanze e le abitudini siciliane. In collaborazione con Pirandello di cui intuì precocemente le doti di drammaturgo, e che a più riprese spronò a scrivere per il teatro, compose in dialetto “A vilanza” (1917) e “Cappiddazzu paga tutto” (1917).

PRIMI ANNI DEL  900 - IL TEATRO

Nel 1901 Nino Martoglio prese una decisione che, alla lunga, si rivelerà a dir poco azzeccata: si orientò in maniera decisa e coraggiosa al teatro, tentando di ricondurre il teatro dialettale siciliano in tutte le platee italiane.
A spingerlo pervicacemente verso la carriera drammaturgica fu la conoscenza di alcuni grandi attori dotati di una dirompente satira e comiccità.

Il rapporto con alcuni grandi interpreti fu talmente decisivo per l’autore siciliano che già nell’aprile del 1903 esordì sulla scena teatrale con la compagnia da questi fondata e da lui diretta.
Anche grazie alle poco comuni qualità degli interpreti con i quali Martoglio lavorava intensamente, le sue opere ottennero un successo eclatante, difficilmente pronosticabile.

Le sue opere poterono elevarsi alla dignità di capolavori anche per l’adozione di un linguaggio misurato, molto semplice e straordinariamente e scorrevole, il suo intento fu sempre quello di disegnare un microcosmo regionale, popolare, caratterizzato da connotati decisamente provinciali.

LE CRITICHE

Martoglio riuscì a descrivere una Sicilia arcaica, inconfondibilmente legata a costumi e situazioni ataviche, ma nello stesso tempo in costante fermento e in capillare evoluzione.
Malgrado ciò, e sebbene Vittorio Emanuele Orlando lo definì felicemente il <<Goldoni siciliano>>, la critica lo denigrò spesso, relegandolo in una posizione alquanto secondaria, ai margini di una cultura considerata erroneamente produzione artigianale e di basso profilo.

Martoglio, in realtà, fu il testimone adatto a rappresentare un’epoca in continua evoluzione; in altre parole l’autore rappresentò una Sicilia fortemente colorita e credibile, identificando i suoi personaggi tra il popolo e mettendo in scena dialoghi e vicende gustose, movimentate e scoppiettanti.

Dicevamo dei giudizi non particolarmente lusinghieri rivolti dalla critica nei suoi confronti; quantunque l’autore si ritrovò ad essere osteggiato da gran parte della critica, dimostrò un grandissimo animus pugnandi che gli permise di superare brillantemente tutti gli ostacoli, le diffidenze, le numerose quanto inutili gelosie.

ARTISTA POLIEDRICO ED ORIGINALE

Nino Martoglio riuscì ad eccellere come pochi praticamente in tutte le occupazioni lavorative in cui fu impegnato; egli fu un giornalista puntuale e preciso, un inimitabile poeta, un fine dicitore, un commediografo stimato dal pubblico, un capocomico battagliero, finanche un regista cinematografico innovativo e un critico cinematografico talvolta severo, tal’altra indulgente e generoso.

L’autore condivideva la tematica dei vinti, già abbondantemente trattata da scrittori del calibro di Capuana, Verga e De Roberto, ma ricusando recisamente i toni eruditi, retorici, a volte enfatici della lingua. Il suo linguaggio riproduce il tono dialettale e schietto, sincero e plebeo, adottando di tanto in tanto espressioni culte e provocando quindi un’esilarante deformazione grottesca.

IL DIALETTO

L’autore siciliano conferisce alla parlata dialettale un’importanza che risulta determinante nel rendere attraverso il registro siciliano il costume, l’indole, gli ambienti preferiti dei siciliani.
Attraverso un gran numero di spropositi linguistici, di clamorose deformazioni lessicali, di gustosi qui pro quo, Martoglio dibatte svariati argomenti, riferendo di avvenimenti di politica municipale, di mondanità contadina e folclorica, di istanze socialisteggianti, di iniziative sociali, di conflitti di classe.
Tutto questo enorme materiale viene sempre descritto da Martoglio con una bonaria, assai godibile ironia.

LE COMPAGNIE TEATRALI

Tra il 1903 ed il 1919 l’autore siciliano diede vita a tutta una serie di compagnie di successo: tra le più rilevanti  la “Compagnia drammatica di teatro mediterraneo”, che rivendicava le qualità dell’invenzione e della scrittura condannando le clamorose falsificazioni operate da interpreti comici e drammatici che stravolgevano i testi di autori anche affermati.

Nonostante i grandi propositi di Martoglio, la Compagnia non ottenne i successi sperati, provocando l’amarezza dell’autore, che credeva molto nel successo della compagnia, la quale doveva veicolare le sue concezioni del teatro come luogo propizio di una catarsi emozionale.

Anche se la Compagnia non ottenne il successo auspicato, il merito di Martoglio fu soprattutto quello di aver scoperto attori destinati a segnare un’epoca come Angelo Musco, Mimì Aguglia, Virginia Balistrieri, Rosina Anselmi; attori e attrici  dotate di un  forte temperamento, in grado di infiammare le platee con poche, fugaci battute e di provocare il riso mediante la loro comparsa sulla scena.

Per comprendere l’originalità dell’autore siciliano bisogna identificare bene il contesto storico nel quale si trovò ad operare: l’Europa è rimasta scottata dal traumatico evento della guerra, è insomma angosciata dal sanguinoso conflitto.

In questo clima difficile anche per gli italiani, attanagliati da paure miste ad una cospicua dose di malcontento,  era necessario sfogare i propri timori nel teatro, ambiente laddove le inevitabili incertezze della ricostruzione dovevano essere lenite attraverso delle riflessioni leggere, spensierate, delle immagini di serena laboriosità.

LE OPERE TEATRALI

L’esordio teatrale di Martoglio risale al 1893, allorché si svolse la prima messa in scena de “I civitoti in pretura”. Sin da questa prima rappresentazione il teatro martogliano si definì all’insegna di una grande varietà di temi e motivi, di una ricchezza di colore, di un carattere vitalistico e brioso.

È un universo, quello martogliano, ricco di archetipi collettivi, un microcosmo dove tutto viene descritto per mezzo di un tono molto semplice ed elementare, intento a svelare gli aspetti più peculiari e veri della sua terra.
I personaggi delle sue opere sono volutamente testimoni di un mondo in costante evoluzione: tipi analizzati al microscopio in una varia casistica di eventi: sono buoni e cattivi, furbi e ingenui, signorotti squattrinati e popolani truffaldini in continua ricerca di un contegno dignitoso nei confronti della vita.

Martoglio sembra vivere con i suoi personaggi che fanno di tutto al fine di sbarcare il lunario; queste macchiette molto comiche producono effetti fortemente esilaranti sebbene rappresentino una condizione di isolamento, di emarginazione, di alienazione dal vivere comune.

A volte l’autore si diverte a rappresentare due mondi diversi in opposizione, provocatoriamente antitetici: così ad esempio Mastru Austinu Miciaciu nella commedia “San Giuvanni Decullatu” è il simpatico elemento di coesione tra il mondo contadino che si apre timidamente ad un mondo borghese e quello popolare profondamente povero e credulone.

Molto divertente la commedia intitolata “’U Contra”, imperniata su atavici pregiudizi, presunte pretese di civiltà, dove i protagonisti sono ingenui analfabeti e sedicenti acculturati.
Altra fortunatissima opera martogliana si rivelò “L’aria del continente”, una delle commedie più apprezzate dell’autore siciliano.

Angelo Musco interpretò perfettamente il  personaggio di Don Cola Dusciu, facendo della divertente commedia uno dei suoi più acclamati cavalli di battaglia. Lo stesso Musco interpretò  con successo altre commedie martogliane che sembravano risentire in un primo tempo di una eccessiva fretta compositiva.

Le altre commedie di Martoglio ottennero un successo praticamente uguale alle precedenti:  “Scuru”, “L’arte di Giufà”, “Annata ricca massaru cuntentu”, “Nica”, “Sua Eccellenza” e tante altre. L’autore inoltre realizzò con l’arguta, dialettica partecipazione di Luigi Pirandello due commedie molto originali e coinvolgenti: “A vilanza’” e “Cappiddazzu paga tutto”.

IL CINEMA

Meno conosciuta, ma valida e memorabile, fu anche la sua attività cinematografica.
Martoglio si dedicò alla regia nel 1913, anno in cui diresse “Sperduti nel buio” un film muto ricordato nella storia del cinema italiano come vero antesignano del movimento neorealista, nonché miglior prodotto della nascente cinematografia italiana per la sua originalità e intensità espressiva, collegata al naturalismo dialettale di cui l'autore aveva dato già larga prova nel teatro.
Realizzò quattro films muti, tra i quali “Teresa Raquin” molto apprezzati dalla critica e ricordati per la loro straordinaria originalità ed intensità creativa.

Nel pieno sviluppo della sua arte lo colse incredibilmente la morte, avvenuta per uno sciagurato e misterioso incidente il 15 Settembre del 1921 a Catania, allorché precipitò nella tromba dell’ascensore nell'ospedale dove era ricoverato il figlio.

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