. Monaco,
guaritore, dotto, protettore del raccolto, nero; stiamo parlando del
santo più amato e venerato della Sicilia occidentale: San Calogero. Nella
cultura contadina è ritenuto il santo protettore del raccolto estivo,
viene considerato dalla tradizione popolare in grado di curare e guarire
i malati, soprattutto bambini sofferenti di ernia, si dice:
“fu medico dello spirito e del corpo”. Si ritiene anche essere stato
uomo molto dotto, ed infatti la sua sapienza è simboleggiata da un
libro che, in tutti i suoi simulacri sparsi per la Sicilia, tiene sempre
in mano. Da
sottolineare un’altra caratteristica importante, che si rifà al
colore della sua pelle, San Calogero è nero, non si conoscono le sue
origini, ma è da sempre stato nero, questo sembra non abbia mai
interessato i fedeli, a dimostrazione della multirazzialità che
costantemente anima senza riserve la nostra isola. Secondo
un vecchio testo del 1610, egli visse ed operò intorno al V secolo;
giunse dapprima a Sciacca dove acquistò fama grazie alla sua opera di
taumaturgo, curando i malati con i vapori delle grotte, che da allora
prendono il nome di “stufe di san Calogero”; si dice inoltre essere
il responsabile del miracolo che, intorno al 1578, fermò le scosse di
terremoto che tormentavano il paese, salvandolo dalla distruzione; da
allora come ringraziamento al Santo, si svolge un pellegrinaggio che
puntualmente si ripete ogni anno, il lunedì dopo la Pentecoste. Nella
maggior parte degli altri comuni dell'isola viene festeggiato il giorno
dell'anniversario della sua morte: il 18 giugno. Oggi
la sua immagine è ancora viva nella cultura popolare, soprattutto
grazie alla devozione dei suoi tanti fedeli che ogni anno gli rendono
omaggio partecipando con ardore alle diverse manifestazioni che si
tengono in tutta la Sicilia. Ad
Agrigento, nonostante non sia il patrono principale (che è San
Gerlando), a San Calogero vengono riservati dei grandiosi festeggiamenti
nella prima settimana di luglio; questi hanno inizio il giovedì con la
benedizione, da parte del vescovo, della camicia bianca indossata dai
portatori del simulacro, recante sul petto lo stemma del santo, tale
divisa viene chiamata pazienza. Una
tra le usanze più antiche consiste nel fare il percorso da casa sino
alla chiesa, anche a piedi scalzi, recitando mentalmente le preghiere,
offrendo questo sacrificio nella speranza di una grazia imminente o nel
ringraziamento di una grazia già ricevuta; ancora oggi si usa fare
questo percorso, ma con ai piedi delle calze, il cosiddetto viaggio "in
piduni". Un'altra
usanza è l'offerta di sacchi di frumento e di oggetti di cera e di pane
a forma di membra umane, le stesse membra graziate dal santo, e anche
l'osservazione da parte dei più devoti di un digiuno durante il quale
si mangia soltanto ciò che si riceve in elemosina: "u dijuno
addumannatu". Il
trasporto della statua si svolge domenica mattina; il privilegio di
trasportarla, durante la processione, si trasmette di padre in figlio,
in una tradizione di famiglia che spesso onora una grazia ricevuta; ai
portatori, comunque, viene dato il cambio durante le soste del simulacro
del santo, effettuate per consentire alla folla dei fedeli di toccarlo o
baciarlo e per chiedere in raccoglimento una grazia, avvicinando alla
statua anche i propri bambini, che vengono spogliati dei loro abiti. Al
passaggio della vara i fedeli lanciano dai balconi piccole forme di pane
precedentemente benedette, i "muffuletta",
pani votivi raccolti e conservati come pegno di abbondanza e di
protezione da parte del santo. Oggi questa tradizione è stata pericolosamente
sospesa, rischiando di farla scomparire, per la presunta pericolosità
di questi lanci che raramente colpivano i partecipanti al rito; si è
proposto di sostituirla con il lancio di alcuni bigliettini di carta
colorata con frasi dedicate al santo e di dare in beneficenza quello
stesso pane che i fedeli avrebbero dovuto lanciare come ringraziamento e
augurio di prosperità per il nuovo anno e che inevitabilmente sarebbe
andato disperso. La
verità è che questa Festa religiosa, come tutte le altre presenti in
Sicilia, presenta una forte carica di paganità che gli deriva dalla
riproposizione di antichi culti e credenze contadine, componente che già
Sciascia aveva individuato (si legga e si osservi il celebre libro
fotografico “Feste religiose in Sicilia”, introdotto da Sciascia e
illustrato da Ferdinando Scianna, in cui le foto sono una superba
testimonianza di quanto detto sopra) ma anche componente che oggi
“delicatamente” si sta cercando di smorzare. Il
rischio che si corre è di far scomparire, perdendole per sempre,
importanti testimonianze della nostra tradizione culturale,
sostituendole con delle improvvisate ed estemporanee componenti
“moderne” che mortificano il nostro stesso patrimonio
storico-culturale, già tendente alla “sopravvivenza” a causa del
naturale cambio generazionale e della incompatibilità delle nuove fasce
giovanili a queste antiche pratiche culturali e religiose.
La
festa si conclude la domenica successiva con la sfilata dei cavalli e dei
muli parati, finalizzata in passato a portare le offerte in natura, a
ringraziare e a propiziare un buon raccolto. |