Introduzione
Studioso italiano del
folclore
e di tradizioni popolari.
Medico e scrittore scrisse i primi studi scientifici sulla cultura
popolare
italiana e curò le prime raccolte di letteratura
italiana orale, dando avvio a studi etnografici sul territorio
italiano. Fondatore in Sicilia della "demologia" da lui battezzata
"demopsicologia" (psicologia del
popolo), ossia la scienza che studia le manifestazioni, le tradizioni e
la cultura di un popolo, che insegnò all'Università di
Palermo.
A Giuseppe Pitrè, il più importante raccoglitore e studioso di
tradizioni popolari, la Sicilia deve essere grata perché - come ha
sottolineato Giuseppe Cocchiara, già preside della Facoltà di
Lettere a Palermo - la sua opera monumentale resta pietra miliare per la
ricchezza e la vastità d’informazioni nel campo del folklore, in cui
nessuno ha raccolto, come e quanto lo scrittore palermitano.
Egli anzi, nella seconda metà dell’Ottocento, ha tracciato la via ad
altri come Salvatore Salomone Marino e accolto nel suo tempo
consensi vivissimi tra cui quelli di Luigi Capuana, che trovò
materiale per le fiabe nel suo repertorio, Giovanni Verga, che
trasse anche ispirazione per le “tinte schiette” e
particolari usanze del suo mondo di umili e perfino per argomenti
specifici d’alcune novelle come Guerra di Santi, dalla preziosa
documentazione a cui Pitrè lavorò tutta la vita.
Come il conterraneo Abate Meli, divenne medico di professione
e venne, grazie ad essa, a contatto con i ceti più umili e col mondo
dei marinai e dei contadini tra cui spinto da passioni per gli studi
storici e filologici raccolse per prima i Canti popolari siciliani
attinti anche dalla voce della madre che egli dice “era la mia
Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane”, dedicandole appunto
la sua prima opera.
Nel 1882 fondò l'Archivio per lo studio
delle tradizioni popolari e nel 1894 pubblicò una fondamentale Bibliografia
delle tradizioni popolari italiane.
Alla
sua memoria fu intitolato il Museo Antropologico Etnografico siciliano a
Palermo che egli
stesso aveva fondato.
La sua Opera
Giuseppe Pitrè fu formidabile nel raccogliere e catalogare gli
ultimi bagliori del mondo popolare siciliano e non solo siciliano. Prima
che radio e televisione pareggiassero o quasi le differenze culturali.
Come hanno ben notato gli studiosi di etnoantropologia Giuseppe Pitrè
si accostò a quel mondo che non era il suo con sguardo di antropologo e
quasi con rispetto di figliolo.
La Sicilia, la sua storia, il
popolo e i contadini siciliani, i loro usi e costumi, i canti, i
racconti, i proverbi, le feste e quant'altro proveniva da quel mondo fu
messo sotto osservazione, ne furono tratti le corrispondenze e quindi le
somiglianze o le evidenti differenze con tradizioni di altri luoghi.
Tutta la ricerca fu eseguita da Giuseppe Pitrè e dai suoi collaboratori
secondo i canoni degli studi demologici, cioè traendoli dalla viva
realtà, dalla viva voce dei popolani e dei contadini analfabeti.
Questa sua fatica confluì nei due volumi tra il ‘70 e il ’71 di
quella Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane,
pubblicata in venticinque volumi fra il 1871 e il 1913, comprendente
nelle sue sezioni oltre ai canti, d’amore, di protesta, legati alle
stagioni e culture, giochi, proverbi, filastrocche, fiabe, feste etc.,
anche medicina popolare, leggende, il costume nella famiglia, nella
casa, nella vita del popolo siciliano, le pratiche
tradizionali dell'agricoltura, le usanze
religiose o superstiziose, tutte le manifestazioni della cultura orale
siciliana e i racconti
dei cantastorie.
Ma ci fu un limite nella selezione delle varie tradizioni, furono
scartate quelle sconce, quelle sguaiate, quelle erotiche che pur erano
un filone importante e fiorente nel panorama di tutte le tradizioni.
Giuseppe Pitrè e tanti altri studiosi di tradizioni popolari italiani
ebbero ripulsione a riportarle, come se la loro considerazione potesse
nuocere a tutta l'impalcatura delle tradizioni popolari stesse, suonasse
cioè come mancanza di rispetto verso la"patria" Sicilia o la
"patria"di ogni singola regione.
Ci sono ancora nel cuore di
Giuseppe Pitrè idee romantiche nei confronti delle tradizioni popolari,
mentre nel pensiero suo più lucido vi è una concezione
evoluzionistica delle culture, nel senso che primitivo si contrappone a
moderno come popolare a colto.
Questo atteggiamento nei confronti delle tradizioni popolari viene
dall'Europa e innanzitutto dai F.lli Grimm per i quali le fiabe erano
"miti decaduti" provenienti dall'India preistorica degli Arii.
Questi due studiosi tedeschi intravidero nei racconti popolari "i
frantumi di una antica religione della razza, custodita dai volghi, da
far risorgere nel giorno glorioso in cui, cacciato Napoleone, si
risvegliasse la coscienza germanica"(I. Calvino, Fiabe italiane,
p.x). Con queste premesse era arduo raccogliere e pubblicare collezioni
di raccolte di tradizione
erotiche.
Ne sperimentò qualcosa il
tedesco Federico Salamone Krauss, direttore di Anthropophyteia, rivista
di tradizioni erotiche, che venne denunciato e tradotto avanti il
Tribunale di Berlino(Raffaele Corso, Estratto dalla rivista di
Antropologia, vol.XIX,Fasc.I-II). E' indubbio che Giuseppe Pitrè e il
suo illustre collega Salvatore Salomone Marino raccolsero anche queste
tradizioni, ma solo recentemente sono stati pubblicati gli indovinelli
sconci del primo e i racconti faceti del secondo.
In effetti le fiabe e i racconti
popolari hanno interessato tutte le persone di tutte le età e di tutte
le classi o ceti sociali, rozze, raffinate, colte e incolte. I racconti
popolari, da millenni, circolano per le varie culture e sottoculture e
qualche volta hanno trovato dei grandi interpreti-narratori.
Quando ciò è successo, cioè quando un racconto viene
ottimamente performato esso entra a far parte viva di quel racconto-tipo
come variante, e da variante condiziona in qualche modo per l'appresso
tutti gli altri interpreti-narratori del racconto-tipo.
La storiella, la trama del racconto continua a vivere e a trasformarsi
anche se negli ultimi secoli è stata quasi cristallizzata dall'avvento
della scrittura. Per nondimeno autori letterari che avevano ripreso le
fiabe, prima dei fratelli Grimm, mai e poi mai le avevano raccontate
come se fossero destinate soltanto ai piccoli.
Giovanbattista Basile e Charles Perrault non si rivolgevano solo ai
piccoli, ma anche ai grandi.
Il Pitrè pare a volte consideri
i racconti popolari come narrativa per bambini come era usuale nelle
classi colte (Aurora Milillo, prefazione a Fiabe Novelle e Racconti
popolari siciliani di Giuseppe Pitrè). C'è appunto il precedente delle
"Fiabe del focolare" dei F.lli Grimm, un libro di narrativa
per ragazzi scolarizzati. Giuseppe Pitrè nella scelta-filtro dei
racconti si fa guidare dal "senso comune". Scarta le sconce,
ma non disdegna quelle che presentano i costumi del popolo e dei
contadini in maniera paludata.
Ha repulsione per la sconcezza sguaiata, ma non può fare a meno di
presentare dei racconti che alludono blandamente, come apprezza
l'ironia, l'arguzia e l'intelligenza dei popolani. Ma sempre racconti di
villani sono quelli che va raccogliendo, di gente che vive ai margini,
oppressa dai bisogni e che se riesce a sopravvivere lo deve a un
profondo attaccamento alla vita.
Come sostiene il Cocchiara, l’opera del Pitrè
presenta due aspetti, uno storico e l’altro poetico, rivelando “un’umanità
viva e vibrante” per cui egli era convinto che era giunto il tempo
di studiare con amore e pazienza le memorie e le tradizioni, per
custodirle.
Da questo nacque anche la creazione del Museo Etnografico, dove
raccogliere tutti i materiali e gli oggetti pazientemente ricercati per
la Sicilia, che come detto nell'introduzione, oggi porta il suo nome, è
ospitato nella palazzina cinese, all’interno del Parco della Favorita
a Palermo.
Nel 1990 fu chiamato ad insegnare
demopsicologia (come lui era solito chiamare il folklore), quando già
aveva acquistato fama e apprezzamenti nell’élite culturale del tempo.
Già nel 1894 aveva, infatti, pubblicato la Bibliografia delle
tradizioni popolari in Italia, intrattenendo rapporti con i più
importanti studiosi specialmente della scuola toscana.
Instancabile studioso, innamorato della sua terra, scrisse anche Palermo
cento e più anni fa, prezioso ed introvabile volume, e saggi su
Meli, su Goete a Palermo, sulla Divina Commedia, raccogliendo anche
novelle popolari toscane.
La collaborazione con Salvatore Salomone
Marino andò oltre, col Lui fondò nel 1880, diringendola fino al 1906,
la più importante rivista di studi sul folklore del tempo, "Archivio
per lo studio delle tradizioni popolari", ed intrattenne
una fitta corrispondenza con studiosi di tutto il mondo. Queste lettere
sono oggi conservate in una sezione del museo etnografico di Palermo e
ad esse continuano a rivolgere attenzione come fonti preziose gli
studiosi contemporanei d'antropologia tra cui Antonio Buttitta.
Per i suoi meriti e la sua fama fu
nominato Senatore del Regno il 30 dicembre del 1914, quando anche in
America venivano tradotte e pubblicate le sue opere per le Edizioni
Crane, specialmente i proverbi e le fiabe, la cui radice comune a tanti
popoli egli aveva esaltato rivendicando in una lettera ad Ernesto
Monaci la loro ricchezza linguistica con queste parole: "Che
bellezza, amico mio! Bisogna capire e sentire il dialetto siciliano per
capire e sentire la squisitezza delle fiabe che sono riuscito a cogliere
di bocca ad una tra le mie varie narratrici”.
Da sottolineare le belle pagine dedicate alle storie dì Giufà
(personaggio da lui inventato) e alle feste popolari siciliane, di cui
piene di poesia sono quelle del Natale e dei Morti.
Cosa successe?
La prima edizione delle Fiabe ebbe subito dei riconoscimenti
internazionali, ma fu accolta inizialmente dal disprezzo e dallo
scandalo di letterati e uomini rispettabili locali (Aurora Milillo,
ibidem).
"Il dottor Pitrè ha pubblicato quattro volumi di porcherie"
scrisse allora la Gazzetta di Palermo.
Lo rammentava lo stesso Pitrè in una lettera del 1914, dove parlava
anche dell'indignazione di clienti rispettabili che gli chiedevano come
si fosse persuaso a pubblicare "quelle storie" dal momento che
gli erano affidate in cura le loro figlie (Raffaele Corso, Reviviscenze.
Studi di tradizioni popolari italiane, p.4).
Alcuni dei
Racconti:
Presentiamo qualche racconto della sua grande collezione di "Fiabe
Novelle e Racconti popolari siciliani".
Storie nient'affatto
sconce, ma sicuramente piacevoli e argute.
I racconti sono scritti così come riportati da Giuseppe Pitrè fatta
eccezione di qualche riga di commento.
Le opere
- Biblioteca
delle tradizioni popolari siciliane;
- Fiabe,
novelle e racconti popolari sicilani
- Grammatica
Siciliana - un saggio completo del dialetto e delle parlate
siciliane, 1875
- Le
storie di Giufà
- le
storielle di roy
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