La Lingua Siciliana Attraverso i Secoli



La lingua è l'anima di un popolo, la lingua è quella che da la libertà ad un popolo,
la lingua è la storia di un popolo attraverso i secoli.
La lingua è quello che distingue un popolo.
 

“Un populu,
diventa poviru e servu
quannu ci arrobbanu a lingua
addutata di patri:
è persu pi sempri”
.
                 Ignazio Buttitta    
 Il padre della linguistica contemporanea Noam Chomskj, definisce la lingua: 
"un dialetto con un passaporto ed un esercito".

 

Il dialetto  

Dialètto, sm. Parlata propria di un ambiente geografico e culturale ristretto (come la regione, la provincia, la città o anche il paese): contrapposta ad un sistema linguistico affine per origine e sviluppo, ma anche, per diverse ragioni politiche, letterarie, geografiche, ecc.), si è imposto come lingua letteraria e ufficiale. Battaglia

Quando si parla di dialetto inevitabilmente bisogna parlare anche della lingua ufficiale cui esso si affianca, le differenze sono soprattutto politiche e sociali, la prima rappresenta il paese nella sua unità politica e militare ed è utilizzata normalmente per documenti, leggi, ecc., detta anche standard o formale, la seconda rappresenta invece un’unità geografica ma soprattutto culturale più limitata nell’estensione ma non meno ricca di storia e di valore.

Accanto alla forma ufficiale della lingua italiana bisogna ricordare altre forme come il linguaggio aulico o letterario, proprio degli scrittori e dei poeti, e quello popolare o colloquiale proprio della gente comune e usato nel quotidiano in cui si distinguono le parlate dei dialettofoni integrali o semintegrali, ossia le persone che parlano esclusivamente dialetto o in parte dialetto e in parte italiano, quando un dialettofono integrale tenta di parlare nella lingua ufficiale genera una serie di errori che danno luogo, specie nei bambini, ad una confusione linguistica difficilmente correggibile.

Come si può dedurre quindi il linguaggio non è un blocco monolitico pre-derteminato, fatto solo di norme grammaticali e fonetiche, la lingua si trasforma e muta, articolandosi in un serie di forme adattabili ai diversi usi che di essa facciamo.

Stesso discorso vale per il dialetto, anch’esso non è “monolitico” ma si evolve e muta  nel tempo presentando forme diverse come il dialetto letterario, proprio degli scritti poetici, altrimenti detto regionale perché cerca di limare le diverse particolarità espressive dei singoli paesi per ricreare una lingua pura rispettosa di precise norme linguistiche generali e comuni, o come le diverse parlate dei capoluoghi e dei paesini che, come abbiamo detto, presentano un ventaglio di variazioni fonetiche che le rendono talvolta anche drasticamente diverse tra loro.

Ciò che caratterizza in maniera determinante la differenza tra dialetto e lingua ufficiale è il prestigio, la condizione di prestigio dipende in maniera determinante dalla considerazione che del dialetto e della lingua ufficiale hanno i suoi parlanti, da una recente indagine è emerso che più si sale verso il nord d’Italia più il prestigio in relazione ai proprio dialetti aumenta.

A Firenze ad esempio i professori parlano correntemente dialetto nelle aule universitarie o anche tra di loro, senza presentare alcun imbarazzo o tentennamento, viceversa la Sicilia è ancora immersa nei pregiudizi che riguardano il dialetto, esso presenta il tasso più basso di prestigio, la gente considera ancora una discriminante negativa parlare correntemente dialetto e nonostante negli ultimi tempi si stia cercando, attraverso un’assidua opera di rivalutazione della lingua, della cultura e delle tradizioni di questa terra, di rinvigorire di nuovo orgoglio questo dialetto troppo spesso mortificato, i risultati tardano a vedersi e i pregiudizi continuano ad esistere.


La Lingua siciliana

Della lingua siciliana si hanno notizie fin dal 1230, quando una colta élite di burocrati e funzionari della corte di Federico II - monarca del regno svevo proclamato imperatore nel 1220 - si diede a coltivare l'arte della poesia volgare. Lo splendore del volgare siciliano fu tale che lo stesso Dante Alighieri nella sua opera "De vulgari eloquentia" definì tutta la produzione poetica siciliana col nome di "scuola siciliana" e affermò che i primi "pionieri" nel campo della produzione letteraria e poetica in lingua volgare italiana furono proprio i poeti siciliani appartenenti a questa scuola. Palermo divenne la culla della poesia siciliana.

Tra i più famosi poeti di lingua siciliana troviamo Cielo D'Alcamo, giullare particolarmente colto di cui si hanno poche notizie, che scrisse il celebre componimento "Rosa fresca aulentissima" e Giacomo da Lentini, da molti ritenuto l'inventore del "sonetto". Dante gli attribuì il titolo di caposcuola della lirica siciliana dato che nei suoi componimenti erano presenti tutti gli stili letterari siciliani fino ad allora usati: sonetto, canzone e canzonetta.

Qualche tempo dopo l'influenza della lingua siciliana si espanse anche nel nord Italia, specialmente in Toscana dove si venne a formare una corrente di poeti, i poeti siculo-toscani, che in seguito avrebbe dato origine alla scuola del dolce stil novo e alla lingua italiana che si affermò come lingua del popolo italiano al contrario del siciliano che fu degradato al ruolo di semplice dialetto regionale.

In tempi recenti il dialetto siciliano è salito nuovamente alla ribalta grazie ad autori come Pirandello, Verga, Capuana, il grande poeta dialettale Ignazio Buttitta fino al contemporaneo Andrea Camilleri.

La Sicilia fu anche Nazione, con il suo governo e con una sua lingua anch’essa molto antica, anche se talune volte tra un territorio e l’altro si notano delle piccole variazioni attribuibili più al suono che al vocabolo stesso.  Esempio:

Vocabolo

Agrigento

Canicatti

Mia Sorella

Me Soru

Ma Sueru

Uovo

Ovu

Uevu

Ragazzo

Picciottu

Picciuettu

Carciofo

Cacocciula

Cacuecciula

Il fenomeno di uniformità della lingua, fu osservato da molti studiosi di glottologia uno di questi fu il tedesco Gerald Rohlfs che scrisse “ esiste nell’isola un dialetto unitario”. Le differenze che si possono notare nel lessico derivano quasi elusivamente dalla presenza più o meno di avanzi del greco e dell’arabo. Il lessico latino presenta in tutta l’Isola una uniformità che raramente si trova nelle altre regioni d’Italia.

Tutto ciò non significa che la lingua siciliana di oggi, si formò tutta nello stesso tempo, anche se buona parte (quella più antica) è stata per sempre persa. Le lingue sono sempre in movimento; e come in qualunque cosa il processo di evoluzione è sempre presente. La lingua siciliana è una lingua stratificata.

Apuleio, uno scrittore siciliano del II° secolo d.C., definisce i siciliani trilingue, (pechè parlavano tre lingue), il Greco, il Punico ed il Latino. Più tardi con l’occupazione Araba, un’altra lingua si aggiunge alle altre, e non è la fine della stratificazione, poiché con l’arrivo dei Normanni abbiamo anche il Francese che si mescola alla nostra lingua già tanto complicata.

Con la fine della dinastia Normanna il regno di Sicilia passo agli Svevi e Federico II, (chiamato “Splendor Mundi”, per il suo grande ingegno di uomo politico scienziato e letterato), non solo aggiunse parole tedesche al nostro vocabolario (non molte comunque), ma per lottare contro la religione Islamica che si era a suo tempo diffusa nell’isola, da cristiano che era, cominciò un programma di rivitalizzazione della lingua Latina per tutta la Sicilia e la bassa Italia. Per questa ragione la lingua siciliana perse la rimanenza delle forme del Latino antico e acquistò quelle del latino ecclesiastico che era un Latino più giovane, rendendo la lingua siciliana più elegante e più piacevole come suono. A quel tempo il Greco era ancora usato nell’isola, tanto che quando Federico II° pubblicò “Le costituzioni Malfitane” ha dovuto pubblicarle anche in greco, poiché il latino quasi non esisteva più, dopo tanti secoli di assenza.

Il processo di rilatinizzazione, cominciato da Federico II, durò fino al secolo IV, poiché un’altra dinastia, quella Aragonese era venuta in Sicilia. Con la seguente dominazione Spagnola, un altro strato di vocaboli si aggiunge alla lingua siciliana, vocaboli che ancora oggi persistono.

Con l’unificazione d’Italia e l’imposizione della lingua Italiana ai Siciliani, un altro vocabolario venne messo al di sopra di tutti gli altri, e non è tutto, poiché in Sicilia dopo l’occupazione Americana del 1943 alcuni americanismi si aggiunsero alla lingua.

La lingua Sicano-Sicula di tre mila anni fa fu influenzata:

  • 1  Dai Greci, VII secolo a.C., e di cui ancora usiamo abbastanza parole, come:

Siciliano

Greco        

Vastasu

Bastaz 

Cirasa

Kerasos 

Ntamatu     

Thuma  

Babbiari

Babazein 

Allippatu

Lipos  

Anga 

Ango 

 Bucali  

Baukalis  

Carusu

Keiro 

Grasta

Rastra   

Bummulu

Bubulios 

Pistiari

Apestiein 

  • 2  Dai Romani, IV secolo a.C., è rimasto ben poco di questo Latino antico, perché l’influenza latina scomparve dalla Sicilia molto presto a causa della caduta dell’impero romano (Il latino che esiste ancora oggi e quello che risultò dalla rilatinizzazione che fecero Ruggero II° e Federico II° in Sicilia e nella bassa Italia, dopo che fu fatto il regno di Sicilia). Ci sono comunque ancora delle parole di latino antico che usiamo nel nostro parlare giornaliero:

Siciliano

Latino       

Muscaloru

Muscarium

Grasciu

Crassus

Oggiallannu

Hodie est annus

Antura

Ante oram

  • 3  Dai Cartaginesi dai Barbari dai Vandali e dai Goti invece non rimane nulla, poiché hanno soltanto saccheggiato la Sicilia in maniera brutale. Successivamente abbiamo subito l’influenza dell’impero Romano d’oriente, che portò nuovamente il greco in sicilia. 

  • Nel 820 d. C. è la volta degli Arabi che hanno lasciato forte influenza nella lingua siciliana, che come quella greca ancora persiste. 
    A seguire alcuni vocaboli che ancora usiamo:

Siciliano

Arabo       

Zibibbo

Zbib

Burnia

Bumiah

Cafisu

Qafiz

Zuccu

Suq

Saia

Saqia

Tabbutu

Tabut

Cassata

Qashatah

Zotta

Saut

Rotulu

Ratal

Gebbia

Jeb

Zimmili

Zamila

Babbaluci

Babaluci

Giuggiulena

Giulgiulan

Sciarra

Sciarr

Zara

Zahara

  • Curiosità: l’Etna (chiamato Muntibeddu) fu nominata dagli Arabi mundi-mundi, che ha la radice latina in mons (monte), e la radice araba gebel (bello). Il vulcano era ritenuto da credenze popolari dell’epoca il padre di tutti i monti e di tutti i vulcani.

  • A causa di questa forte influenza araba il poeta Salvatore Valenti Chiaramonte di Agrigento, verso la fine del XIX scrisse:  

Eccu cumpostu lu linguaggiu siculu,
tra li dialetti lu cchiu` anticu oraculu,
quannu l'arabu detti tantu priculu
a la Sicilia cu lu duru baculu,
purto` paroli ed un nuvellu articulu
chi la pronunzia fa a li strani ostaculu:
"iddu, dda, ddi, bagaredda, gebbia, sciarra,
favara, funnacu, garifu, giarra".
  • 4  Anche i Normanni portarono nuovi vocaboli, complicando ancora di più la nostra lingua.
    Di seguito alcuni vocaboli con radici Francesi:

Siciliano

Francese

Accia

Ache

Ammucciuni

Mucer

Giugettu

Jugnet

Vucciria

Boucherie

Custureri

Couturie

Fumeri

Fumier

Foddi

Fou

Lueri

Louer

Truscia

Trousser

Firmari

Fermer

Ammuarra

Armoire

Buffetta

Buffet

Tirabuscià

Tire-bouchon

Sciaffurru

Chaffeur

  • 5  La dominazione Spagnola durò più di cinque secoli, apportando nell'isola nuovi usi, costumi, leggi e... ancora altri vocaboli:

Siciliano

Spagnolo       

Abbuccari

Abocar

Curtigghiu

Cortipo

Gregna

Grena

Lastima

Lastima

Nzirtari

Encertar

Pignata

Pinada

Scupetta

Scopeta

Sgarrari

Esgarrar

Zita

Cita

Accanzari

Alcanzar

Arrinari

Arenar

Cusiri

Coser

Truppicari

Tropezar

Sulitu

Solito

Cinniri

Ceniza

Muccaturi

Mocador

  • 6  Nel XVIII secolo durante la dominazione Spagnola la Sicilia venne assegnata all’impero Austriaco, il quale per ripagarla di tutti i muli carichi d’oro portati a Vienna, lasciò una manciata di vocaboli che sono ancora in uso:

Siciliano

Tedesco    

Laparderi

Hallabardier

Arrancari

Rank

Sparagnari

Sparen

Guastedda

Wastel

  • 7  Con gli emigranti di tutte e due le guerre mondiali e poi con lo sbarco degli americani nel 1943, si aggiunsero ancora nuovi vocaboli. "Si fermerà mai questo ciclo?!"

Siciliano

Inglese

Bossu

Boss

Giobba

Job

Cottu

Coat

Siccu (thin, maybe sick)

Sick (malatu)

  • La lingua inglese ha pure influenzato il superlativo degli aggettivi della lingua siciliana aggiungendo il prefisso “veri” (assai):

Siciliano

Inglese

Veru beddu

Veri beatiful

Veru siccu

Veri thin

Veru laidu

Veri ugly

  • 8 Infine c’è da dire che la lingua siciliana ha influenzato una piccola parte della lingua Italiana come spiega G. Gulino in un articolo: “ Il dialetto siciliano, la nostra memoria storica”:

Siciliano

Italiano    

Cannolu

Cannolo

Trazzera

Trazzera

Virdeddi

Verdelli

Ntrallazzu

Intrallazzo

Salmurigghiu

Salmoriglio

Picciotti

Picciotti (Garibaldini)

Sfinciuni

Sfincione

Come detto sopra la nostra lingua è costituita da diversi strati, però questo non sta a significare che la lingua non è siciliana. Si, è vero, tanta gente ha dominato la Sicilia, ma non lo spirito siciliano, che è rimasto libero da ogni dominazione e imposizione. I siciliani hanno preso le lingue che gli stranieri portarono e imposero, le trasformarono e le resero siciliane, come oggi ci appaiono. Questo comportamento come tanti altri ha fatto si che in qualche modo siano stati i siciliani a dominare i conquistatori tenendo salda la propria identità di appartenenza.

I siciliani acquisirono dalle nazioni che occuparono l’isola tutto ciò che ritennero essere positivo, rigettando quello che non era consono con i propri valori di famiglia, senso d’onore, amore e rispetto per i morti e per gli anziani, senso di ospitalità, rispetto per il padre come capo e sostenitore della famiglia, rispetto per la madre come centro della famiglia, amore e rispetto per l’amicizia etc. etc. Questi comportamenti e questa cultura sono un bagaglio che i siciliani si portano dietro da secoli e nessuna dominazione straniera ha potuto intaccarli.

La lingua siciliana è la nostra lingua, unica come nessun’altra al mondo, quindi... facciamo in modo di non perderla!

Alcuni elementi di grammatica siciliana

Premessa: tutto ciò che verrà di seguito detto, è approssimativo, perchè deriva dalla lingua parlata e non da un testo di grammatica.

1.      Vocali al termine di una parola
Molto spesso  le parole italiane  che terminano con e (es: pane, sole, cane, dottore) in siciliano terminano con la i (pani, suli, cani, dutturi).

Quelle che invece in italiano finiscono per o (es: solo, vento, mondo) in siciliano terminano con la u (sulu, ventu, munnu).

Molto frequente è la desinenza a del plurale dei nomi, forse derivante dal neutro latino (es: du fila pasta - lett. due fili di pasta, un chilu di puma - un chilo di mele).

2.      Gruppi di consonanti
Il gruppo  italiano  glio, glia, gli  al termine delle parole  si  traduce  con gghiu, gghia, gghi; Es: figlio - figghiu, maniglia - manigghia, scogli - scogghi.

La doppia L al centro di parola viene spesso tradotta con la doppia d. Es: agnello - agneddu. La pronuncia del gruppo "dd" è tipica siciliana.

La b ad inizio parola viene a volte cambiata in v. Es: barca - varca, bue - vui. Fanno eccezione sempre vita, vostra, vero ed altri.

Il gruppo italiano nd si cambia generalmente in una doppia n nn. Es: mondo - munnu, grande - ranni.

La f ad inizio parola spesso viene cambiata in c (pron. sc). Es: fiume - ciumi, fiore - ciuri.

La pronuncia del gruppo "str" in siciliano è particolare e non è facilmente spiegabile.

3.     Articoli
L'italiano "il" in siciliano si rende con "lu"/"u"; l'articolo femminile "la" si trasforma in una semplice "a". "Gli" si cambia invece in i.

4.      Particolarità verbali siciliane
In  siciliano  non  si usa  il futuro, che comunque  esiste  in  una forma  molto antica.  Il futuro italiano si traduce semplicemente con il presente. Es: "Domani andrò là" diventa "Dumani vaju 'ddà"

Il condizionale in siciliano non esiste e si rende con un altro congiuntivo con valore condizionale, specialmente nei periodi ipotetici. Es: "Se non piovesse, io ci andrei" diventa "Si un chiuvissi, io c'issi".

In siciliano non esiste il verbo dovere. La frase "Io devo andarci" si traduce con "Io c'aju a 'gghiri" cioè il verbo dovere è sostituito dal verbo avere tipo "Io ho da andarci"

·         Presente indicativo di qualche verbo importante

essere: Io sugnu, tu sì, iddu è, nui/niatri semu, vui/viatri siti, iddi sunnu.
avere: Io aju, tu hai, iddu avi, nui/niatri avemo, vui/viatri aviti, iddi hannu.
andare: Io vaju, tu vai, iddu va, nui/niatri emo, vui/viatri iti, iddi vannu.
venire: Io vegnu, tu veni, iddu vene, nui/niatri vinemu, vui/viatri viniti, iddi vennu.
dare: Io rugnu (dugnu), tu rune (dune), iddu runa (duna), nui/niatri ramo (damo), vui/viatri rate (date), iddi runanu (dunanu).
potere: Io pozzu, tu poi, iddu pò, nui/niatri putemu, vui/viatri putiti, iddi ponnu

 

Note

Le stratificazioni linguistiche del dialetto siciliano fanno fede della travagliata storia del popolo che l'ha parlato attraverso i secoli e che lo ha innalzato a dignità di lingua, iniziando la letteratura italiana alla corte palermitana di Federico II nel tredicesimo secolo, e producendo insigne opere d'arte, quali le liriche di Giovanni Meli nel Settecento, tradotte anche dal Goethe e dal Foscolo; e i sonetti di Nino Martoglio nell'ultimo ottocento, onde il Carducci nel 1899 scriveva: "Nessuno ha il diritto di dirsi letterato che non conosca il linguaggio del Meli, e in esso linguaggio i sonetti del Martoglio".

E se pensiamo che in siciliano scrissero persino Giuseppe Antonio Borghese, che tradusse in dialetto “La figlia di Jorio” di Dannunzio, per farla recitare agli attori della compagnia siciliana di Giovanni Grasso, e Pirandello, che in siciliano scrisse originariamente commedie di altissimo livello come “Liolà” e “Il Berretto a sonagli” (a birritta cu li ciancianeddi), e vi riscosse i primi applausi della sua eccezionale carriera di drammaturgo.

Conoscendo tutto questo comprenderemo meglio la validità di questa lingua suggestiva, che esprime così efficacemente l'unità spirituale del popolo siciliano attraverso i secoli.

Un popolo che è venuto a contatto con le diverse civiltà mediterranee, accogliendole in sé e assimilandole, pur senza mai perdere la caratteristica individualità del "tipo siciliano".

È la validità del linguaggio siciliano attraverso i secoli ci apparirà ancora più chiaramente se ricorderemo che esso, lungo il quattordicesimo secolo, fu relativamente autonomo dal toscano e costituì un vero e proprio tentativo di lingua nazionale italiana, come è stato dimostrato da Bruno Migliorini nella “Storia della lingua Italiana” (Milano 1951, p.185)

 

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