Il dialetto
Dialètto, sm. Parlata propria di un ambiente geografico e
culturale ristretto (come la regione, la provincia, la città o anche il
paese): contrapposta ad un sistema linguistico affine per origine e
sviluppo, ma anche, per diverse ragioni politiche, letterarie,
geografiche, ecc.), si è imposto come lingua letteraria e ufficiale. Battaglia
Quando si parla di dialetto inevitabilmente bisogna parlare
anche della lingua ufficiale cui esso si affianca, le differenze sono
soprattutto politiche e sociali, la prima rappresenta il paese nella sua
unità politica e militare ed è utilizzata normalmente per documenti,
leggi, ecc., detta anche standard o formale, la seconda rappresenta
invece un’unità geografica ma soprattutto culturale più limitata
nell’estensione ma non meno ricca di storia e di valore.
Accanto alla forma ufficiale della lingua italiana
bisogna ricordare altre forme come il linguaggio aulico o letterario,
proprio degli scrittori e dei poeti, e quello popolare o colloquiale
proprio della gente comune e usato nel quotidiano in cui si distinguono
le parlate dei dialettofoni integrali o semintegrali,
ossia le persone che parlano esclusivamente dialetto o in parte dialetto
e in parte italiano, quando un dialettofono integrale tenta di parlare
nella lingua ufficiale genera una serie di errori che danno luogo,
specie nei bambini, ad una confusione linguistica difficilmente
correggibile.
Come si può dedurre quindi il linguaggio non è un blocco
monolitico pre-derteminato, fatto solo di norme grammaticali e
fonetiche, la lingua si trasforma e muta, articolandosi in un serie di
forme adattabili ai diversi usi che di essa facciamo.
Stesso discorso vale per il
dialetto, anch’esso non è “monolitico” ma si evolve e muta
nel tempo presentando forme diverse come il dialetto
letterario, proprio degli scritti poetici, altrimenti detto regionale
perché cerca di limare le diverse particolarità espressive dei singoli
paesi per ricreare una lingua pura rispettosa di precise norme
linguistiche generali e comuni, o come le diverse parlate dei
capoluoghi e dei paesini che, come abbiamo detto, presentano un
ventaglio di variazioni fonetiche che le rendono talvolta anche
drasticamente diverse tra loro.
Ciò che caratterizza in maniera
determinante la differenza tra dialetto e lingua ufficiale è il prestigio,
la condizione di prestigio dipende in maniera determinante dalla
considerazione che del dialetto e della lingua ufficiale hanno i suoi
parlanti, da una recente indagine è emerso che più si sale verso il
nord d’Italia più il prestigio in relazione ai proprio dialetti
aumenta.
A Firenze ad esempio i professori
parlano correntemente dialetto nelle aule universitarie o anche tra di
loro, senza presentare alcun imbarazzo o tentennamento, viceversa la
Sicilia è ancora immersa nei pregiudizi che riguardano il dialetto,
esso presenta il tasso più basso di prestigio, la gente considera
ancora una discriminante negativa parlare correntemente dialetto e
nonostante negli ultimi tempi si stia cercando, attraverso un’assidua
opera di rivalutazione della lingua, della cultura e delle tradizioni di
questa terra, di rinvigorire di nuovo orgoglio questo dialetto troppo
spesso mortificato, i risultati tardano a vedersi e i pregiudizi
continuano ad esistere.
La
Lingua siciliana
Della lingua siciliana si hanno
notizie fin dal 1230, quando una colta élite di burocrati e funzionari
della corte di Federico II - monarca del regno svevo proclamato
imperatore nel 1220 - si diede a coltivare l'arte della poesia volgare.
Lo splendore del volgare siciliano fu tale che lo stesso Dante Alighieri
nella sua opera "De vulgari eloquentia" definì tutta la
produzione poetica siciliana col nome di "scuola siciliana" e
affermò che i primi "pionieri" nel campo della produzione
letteraria e poetica in lingua volgare italiana furono proprio i poeti
siciliani appartenenti a questa scuola. Palermo divenne la culla della
poesia siciliana.
Tra i più famosi poeti di lingua
siciliana troviamo Cielo D'Alcamo, giullare particolarmente colto di cui
si hanno poche notizie, che scrisse il celebre componimento "Rosa
fresca aulentissima" e Giacomo da Lentini, da molti ritenuto
l'inventore del "sonetto". Dante gli attribuì il titolo di
caposcuola della lirica siciliana dato che nei suoi componimenti erano
presenti tutti gli stili letterari siciliani fino ad allora usati:
sonetto, canzone e canzonetta.
Qualche tempo dopo l'influenza
della lingua siciliana si espanse anche nel nord Italia, specialmente in
Toscana dove si venne a formare una corrente di poeti, i poeti
siculo-toscani, che in seguito avrebbe dato origine alla scuola del
dolce stil novo e alla lingua italiana che si affermò come lingua del
popolo italiano al contrario del siciliano che fu degradato al ruolo di
semplice dialetto regionale.
In tempi recenti il dialetto
siciliano è salito nuovamente alla ribalta grazie ad autori come
Pirandello, Verga, Capuana, il grande poeta dialettale Ignazio Buttitta
fino al contemporaneo Andrea Camilleri.
La Sicilia fu anche Nazione, con il suo governo e
con una sua lingua anch’essa molto antica, anche se talune volte tra
un territorio e l’altro si notano delle piccole variazioni
attribuibili più al suono che al vocabolo stesso.
Esempio:
Vocabolo
|
Agrigento
|
Canicatti
|
Mia Sorella
|
Me Soru
|
Ma Sueru
|
Uovo
|
Ovu
|
Uevu
|
Ragazzo
|
Picciottu
|
Picciuettu
|
Carciofo
|
Cacocciula
|
Cacuecciula
|
Il fenomeno di uniformità della lingua, fu
osservato da molti studiosi di glottologia uno di questi fu il tedesco
Gerald Rohlfs che scrisse “ esiste nell’isola un dialetto
unitario”. Le differenze che si possono notare nel lessico derivano
quasi elusivamente dalla presenza più o meno di avanzi del greco e
dell’arabo. Il lessico latino presenta in tutta l’Isola una
uniformità che raramente si trova nelle altre regioni d’Italia.
Tutto ciò non significa che la lingua siciliana di
oggi, si formò tutta nello stesso tempo, anche se buona parte (quella
più antica) è stata per sempre persa. Le lingue sono sempre in
movimento; e come in qualunque cosa il processo di evoluzione è sempre
presente. La lingua siciliana è una lingua stratificata.
Apuleio, uno scrittore siciliano del II° secolo
d.C., definisce i siciliani trilingue, (pechè parlavano tre lingue), il
Greco, il Punico ed il Latino. Più tardi con l’occupazione Araba,
un’altra lingua si aggiunge alle altre, e non è la fine della
stratificazione, poiché con l’arrivo dei Normanni abbiamo anche il
Francese che si mescola alla nostra lingua già tanto complicata.
Con la fine della dinastia Normanna il regno di
Sicilia passo agli Svevi e Federico II, (chiamato “Splendor Mundi”,
per il suo grande ingegno di uomo politico scienziato e letterato), non
solo aggiunse parole tedesche al nostro vocabolario (non molte
comunque), ma per lottare contro la religione Islamica che si era a suo
tempo diffusa nell’isola, da cristiano che era, cominciò un programma
di rivitalizzazione della lingua Latina per tutta la Sicilia e la bassa
Italia. Per questa ragione la lingua siciliana perse la rimanenza delle
forme del Latino antico e acquistò quelle del latino ecclesiastico che
era un Latino più giovane, rendendo la lingua siciliana più elegante e
più piacevole come suono. A quel tempo il Greco era ancora usato
nell’isola, tanto che quando Federico II° pubblicò “Le
costituzioni Malfitane” ha dovuto pubblicarle
anche in greco, poiché il latino quasi non esisteva più, dopo tanti
secoli di assenza.
Il processo di rilatinizzazione, cominciato da
Federico II, durò fino al secolo IV, poiché un’altra dinastia,
quella Aragonese era venuta in Sicilia. Con la seguente dominazione
Spagnola, un altro strato di vocaboli si aggiunge alla lingua siciliana,
vocaboli che ancora oggi persistono.
Con l’unificazione d’Italia e l’imposizione
della lingua Italiana ai Siciliani, un altro vocabolario venne messo al
di sopra di tutti gli altri, e non è tutto, poiché in Sicilia dopo
l’occupazione Americana del 1943 alcuni americanismi si aggiunsero
alla lingua.
La lingua Sicano-Sicula di tre mila anni fa fu
influenzata:
Siciliano
|
Greco
|
Vastasu
|
Bastaz
|
Cirasa
|
Kerasos
|
Ntamatu
|
Thuma
|
Babbiari
|
Babazein
|
Allippatu
|
Lipos
|
Anga
|
Ango
|
Bucali
|
Baukalis
|
Carusu
|
Keiro
|
Grasta
|
Rastra
|
Bummulu
|
Bubulios
|
Pistiari
|
Apestiein
|
-
2 Dai Romani, IV secolo a.C., è rimasto ben
poco di questo Latino antico, perché l’influenza latina scomparve
dalla Sicilia molto presto a causa della caduta dell’impero romano
(Il latino che esiste ancora oggi e quello che risultò dalla
rilatinizzazione che fecero Ruggero II° e Federico II° in Sicilia
e nella bassa Italia, dopo che fu fatto il regno di Sicilia). Ci
sono comunque ancora delle parole di latino antico che usiamo nel
nostro parlare giornaliero:
Siciliano
|
Latino
|
Muscaloru
|
Muscarium
|
Grasciu
|
Crassus
|
Oggiallannu
|
Hodie est annus
|
Antura
|
Ante oram
|
-
3 Dai Cartaginesi dai Barbari dai Vandali e
dai Goti invece non rimane nulla, poiché hanno soltanto saccheggiato la
Sicilia in maniera brutale. Successivamente abbiamo subito
l’influenza dell’impero Romano d’oriente, che portò
nuovamente il greco in sicilia.
-
Nel 820 d. C. è la volta degli Arabi
che hanno lasciato forte influenza nella lingua siciliana, che come
quella greca ancora persiste.
A seguire alcuni vocaboli che
ancora usiamo:
Siciliano
|
Arabo
|
Zibibbo
|
Zbib
|
Burnia
|
Bumiah
|
Cafisu
|
Qafiz
|
Zuccu
|
Suq
|
Saia
|
Saqia
|
Tabbutu
|
Tabut
|
Cassata
|
Qashatah
|
Zotta
|
Saut
|
Rotulu
|
Ratal
|
Gebbia
|
Jeb
|
Zimmili
|
Zamila
|
Babbaluci
|
Babaluci
|
Giuggiulena
|
Giulgiulan
|
Sciarra
|
Sciarr
|
Zara
|
Zahara
|
-
Curiosità: l’Etna (chiamato Muntibeddu) fu nominata dagli Arabi
mundi-mundi, che ha la radice latina in mons (monte), e la radice araba
gebel (bello). Il vulcano era ritenuto da credenze popolari dell’epoca
il padre di tutti i monti e di tutti i vulcani.
-
A causa di questa forte influenza araba il poeta
Salvatore Valenti Chiaramonte di Agrigento, verso la fine del XIX
scrisse:
Eccu
cumpostu lu linguaggiu siculu,
tra
li dialetti lu cchiu` anticu oraculu,
quannu
l'arabu detti tantu priculu
a
la Sicilia cu lu duru baculu,
purto`
paroli ed un nuvellu articulu
chi
la pronunzia fa a li strani ostaculu:
"iddu, dda, ddi, bagaredda, gebbia, sciarra,
favara, funnacu, garifu,
giarra". |
Siciliano
|
Francese |
Accia
|
Ache
|
Ammucciuni
|
Mucer
|
Giugettu
|
Jugnet
|
Vucciria
|
Boucherie
|
Custureri
|
Couturie
|
Fumeri
|
Fumier
|
Foddi
|
Fou
|
Lueri
|
Louer
|
Truscia
|
Trousser
|
Firmari
|
Fermer
|
Ammuarra
|
Armoire
|
Buffetta
|
Buffet
|
Tirabuscià
|
Tire-bouchon
|
Sciaffurru
|
Chaffeur
|
-
5 La dominazione Spagnola durò più di cinque
secoli, apportando nell'isola nuovi usi, costumi, leggi e... ancora altri
vocaboli:
Siciliano
|
Spagnolo
|
Abbuccari
|
Abocar
|
Curtigghiu
|
Cortipo
|
Gregna
|
Grena
|
Lastima
|
Lastima
|
Nzirtari
|
Encertar
|
Pignata
|
Pinada
|
Scupetta
|
Scopeta
|
Sgarrari
|
Esgarrar
|
Zita
|
Cita
|
Accanzari
|
Alcanzar
|
Arrinari
|
Arenar
|
Cusiri
|
Coser
|
Truppicari
|
Tropezar
|
Sulitu
|
Solito
|
Cinniri
|
Ceniza
|
Muccaturi
|
Mocador
|
-
6 Nel XVIII secolo durante la dominazione
Spagnola la Sicilia venne assegnata all’impero Austriaco, il quale
per ripagarla di tutti i muli carichi d’oro portati a Vienna, lasciò
una manciata di vocaboli che sono ancora in uso:
Siciliano
|
Tedesco
|
Laparderi
|
Hallabardier
|
Arrancari
|
Rank
|
Sparagnari
|
Sparen
|
Guastedda
|
Wastel
|
Siciliano
|
Inglese
|
Bossu
|
Boss
|
Giobba
|
Job
|
Cottu
|
Coat
|
Siccu (thin, maybe sick)
|
Sick (malatu)
|
Siciliano
|
Inglese
|
Veru beddu
|
Veri beatiful
|
Veru siccu
|
Veri thin
|
Veru laidu
|
Veri ugly
|
Siciliano
|
Italiano
|
Cannolu
|
Cannolo
|
Trazzera
|
Trazzera
|
Virdeddi
|
Verdelli
|
Ntrallazzu
|
Intrallazzo
|
Salmurigghiu
|
Salmoriglio
|
Picciotti
|
Picciotti
(Garibaldini)
|
Sfinciuni
|
Sfincione
|
Come detto sopra la nostra lingua è costituita da
diversi strati, però questo non sta a significare che la lingua non è
siciliana. Si, è vero, tanta gente ha dominato la Sicilia, ma non lo
spirito siciliano, che è rimasto libero da ogni dominazione e
imposizione. I siciliani hanno preso le lingue che gli stranieri
portarono e imposero, le trasformarono e le resero siciliane, come oggi
ci appaiono. Questo comportamento come tanti altri ha fatto si che in
qualche modo siano stati i siciliani a dominare i conquistatori tenendo
salda la propria identità di appartenenza.
I siciliani acquisirono dalle nazioni che occuparono
l’isola tutto ciò che ritennero essere positivo, rigettando quello
che non era consono con i propri valori di famiglia, senso d’onore,
amore e rispetto per i morti e per gli anziani, senso di ospitalità,
rispetto per il padre come capo e sostenitore della famiglia, rispetto
per la madre come centro della famiglia, amore e rispetto per
l’amicizia etc. etc. Questi comportamenti e questa cultura sono un
bagaglio che i siciliani si portano dietro da secoli e nessuna
dominazione straniera ha potuto intaccarli.
La lingua siciliana è la nostra lingua, unica come nessun’altra al
mondo, quindi... facciamo in modo di non perderla!
Alcuni
elementi di grammatica siciliana
Premessa: tutto ciò che verrà di seguito detto, è approssimativo,
perchè deriva dalla lingua parlata e non da un testo di grammatica.
1.
Vocali al termine di una parola
Molto spesso le parole
italiane che terminano con e
(es: pane, sole, cane, dottore) in siciliano terminano con la i (pani,
suli, cani, dutturi).
Quelle che
invece in italiano finiscono per o (es: solo, vento, mondo) in siciliano
terminano con la u (sulu, ventu, munnu).
Molto frequente
è la desinenza a del plurale dei nomi, forse derivante dal
neutro latino (es: du fila pasta - lett. due fili di pasta, un chilu di
puma - un chilo di mele).
2.
Gruppi di consonanti
Il gruppo italiano
glio, glia, gli al termine delle parole
si traduce
con gghiu, gghia, gghi; Es: figlio - figghiu, maniglia -
manigghia, scogli - scogghi.
La doppia L al centro di
parola viene spesso tradotta con la doppia d. Es: agnello -
agneddu. La pronuncia del gruppo "dd" è tipica siciliana.
La b ad inizio parola viene
a volte cambiata in v. Es: barca - varca, bue - vui. Fanno
eccezione sempre vita, vostra, vero ed altri.
Il gruppo
italiano nd si cambia generalmente in una doppia n nn. Es:
mondo - munnu, grande - ranni.
La f ad inizio parola spesso
viene cambiata in c (pron. sc). Es: fiume - ciumi, fiore - ciuri.
La pronuncia del gruppo "str"
in siciliano è particolare e non è facilmente spiegabile.
3.
Articoli
L'italiano "il" in siciliano si rende con "lu"/"u";
l'articolo femminile "la" si trasforma in una semplice
"a". "Gli" si cambia invece in i.
4.
Particolarità verbali siciliane
In siciliano non si usa
il futuro, che comunque esiste
in una forma
molto antica. Il futuro italiano si traduce semplicemente con il presente.
Es: "Domani andrò là" diventa "Dumani vaju 'ddà"
Il condizionale
in siciliano non esiste e si rende con un altro congiuntivo con valore
condizionale, specialmente nei periodi ipotetici. Es: "Se non
piovesse, io ci andrei" diventa "Si un chiuvissi, io
c'issi".
In siciliano non
esiste il verbo dovere. La frase "Io devo andarci" si traduce
con "Io c'aju a 'gghiri" cioè il verbo dovere è sostituito
dal verbo avere tipo "Io ho da andarci"
·
Presente
indicativo di qualche verbo importante
essere: Io sugnu, tu sì, iddu è, nui/niatri semu, vui/viatri
siti, iddi sunnu.
avere: Io aju, tu hai, iddu avi, nui/niatri avemo, vui/viatri
aviti, iddi hannu.
andare: Io vaju, tu vai, iddu va, nui/niatri emo, vui/viatri iti,
iddi vannu.
venire: Io vegnu, tu veni, iddu vene, nui/niatri vinemu, vui/viatri
viniti, iddi vennu.
dare: Io rugnu (dugnu), tu rune (dune), iddu runa (duna), nui/niatri
ramo (damo), vui/viatri rate (date), iddi runanu (dunanu).
potere: Io pozzu, tu poi, iddu pò, nui/niatri putemu, vui/viatri
putiti, iddi ponnu
Note
Le stratificazioni linguistiche del dialetto siciliano
fanno fede della travagliata storia del popolo che l'ha parlato attraverso
i secoli e che lo ha innalzato a dignità di lingua, iniziando la
letteratura italiana alla corte palermitana di Federico II nel tredicesimo
secolo, e producendo insigne opere d'arte, quali le liriche di Giovanni
Meli nel Settecento, tradotte anche dal Goethe e dal Foscolo; e i sonetti
di Nino Martoglio nell'ultimo ottocento, onde il Carducci nel 1899
scriveva: "Nessuno ha il diritto di dirsi letterato che non
conosca il linguaggio del Meli, e in esso linguaggio i sonetti del
Martoglio".
E se pensiamo che in siciliano
scrissero persino Giuseppe Antonio Borghese, che tradusse in dialetto “La
figlia di Jorio” di Dannunzio, per farla recitare agli attori della
compagnia siciliana di Giovanni Grasso, e Pirandello, che in siciliano
scrisse originariamente commedie di altissimo livello come “Liolà”
e “Il Berretto a sonagli” (a birritta cu li ciancianeddi), e vi
riscosse i primi applausi della sua eccezionale carriera di drammaturgo.
Conoscendo tutto questo comprenderemo
meglio la validità di questa lingua suggestiva, che esprime così
efficacemente l'unità spirituale del popolo siciliano attraverso i
secoli.
Un popolo che è venuto a contatto
con le diverse civiltà mediterranee, accogliendole in sé e
assimilandole, pur senza mai perdere la caratteristica individualità del
"tipo siciliano".
È la validità del linguaggio siciliano attraverso i secoli ci apparirà
ancora più chiaramente se ricorderemo che esso, lungo il quattordicesimo
secolo, fu relativamente autonomo dal toscano e costituì un vero e
proprio tentativo di lingua nazionale italiana, come è stato dimostrato
da Bruno Migliorini nella “Storia della lingua Italiana” (Milano 1951, p.185)
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